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Domenica 05 Ottobre 2025
Animali umanizzati: un rischio sociale
Circa il 40% degli italiani ha in casa cani e gatti e investe su di loro dai 50 ai 300 euro al mese. Trattarli come i bambini, che sono invece in calo, non fa bene. Occorre equilibrio tra cura e libertà
Trasportati in colorati passeggini, soggetti a diete personalizzate, spesso soggiornano in hotel boutique, magri dopo una seduta di idroterapia. Si parla di animali domestici, per i quali non mancano i matrimoni, che da qualche anno stanno prendendo piede negli Usa e in alcuni paesi asiatici, e persino i funerali. Un articolo apparso qualche tempo fa sulle pagine del “New York Times” si chiedeva se l’amore che si sta sviluppando nei confronti degli animali da compagnia non sia eccessivo. “Li stiamo amando alla morte?”, le parole esatte. La domanda retorica non ha bisogno di risposte, ma senza dubbio di alcune riflessioni.
I numeri
La prima riguarda i numeri demografici. Mentre quasi ogni anno i dati Istat registrano il minimo storico di nascite di Sapiens - un processo, quello della denatalità, che dal 2008 non conosce sosta - il numero di animali domestici è in continua crescita. I dati Eurispes 2024 mostrano che il 37,3% degli italiani ha nella propria casa uno o più animali domestici (+4,6% rispetto al 2023) - dal 40% di Sud e Isole al 32% del Nord-Est - con costi che in quasi un caso su due oscillano fra i 50 e i 300 € al mese. Annie McCall, direttrice marketing di All the Best, una catena di negozi di lusso per animali a Seattle, nell’affermare che gli articoli più richiesti sono i giochi di arricchimento per cani e gatti, li vede anche in un mondo in cui “sempre più spesso stanno sdraiati da soli e annoiati”.
La seconda è una conseguenza diretta dei costi associati e degli impegni a tempo pieno e continuativo (o almeno così dovrebbe essere). I report di Legambiente parlano, nel 2023, di 85.000 cani abbandonati (+ 8,6% rispetto al 2022) e 358 mila randagi, con meno della metà dei Comuni che conosce il numero complessivo dei cani iscritti in anagrafe. Il report “State of Pet Homelessness” del gennaio 2024, il più grande mai condotto e realizzato da un team di esperti internazionali, mette in evidenza come il 15% dei proprietari di animali domestici nel mondo sta considerando di abbandonare il proprio animale nei prossimi 12 mesi. “The dark side of the moon”, per chi conosce i Pink Floyd.
La terza è di merito. Diversi eticisti di benessere animale e veterinari da tempo si chiedono se il nostro percorso di umanizzare gli animali, nonostante siano da secoli addomesticati, un concetto ben differente e chiaro, non abbia passato il limite. Della decenza ma anche etologica, andando ad inficiare il loro comportamento e in ultima istanza anche la loro salute. Quando trattiamo i nostri animali come bambini, ne limitiamo in realtà la loro vera natura canina o felina. Ancor più gravi i commenti di inaccettabilità nel vedere un predatore che caccia o uccide una preda, tacciandolo di inumanità. Semplicemente, nel seguire una regola etologica di base, si comportano secondo natura (non umana), una relazione fondamentale per comprendere le dinamiche di equilibrio ecologiche e l’evoluzione. L’estetica - cosa non sempre affine all’amore - è un punto di inizio di questo approccio umanizzante urbi et orbi, che però negli animali da compagnia spesso si traduce in incroci arditi, al fine di evidenziare alcuni tratti, fenotipici o comportamentali.
Ad esempio, fra le razze canine più pop, ci sono i Bulldog Francesi, cani dal muso schiacciato (brachicefali, come anche il Carlino o lo Shih Tzu). Questi sono soggetti a problemi respiratori a causa della loro struttura facciale piatta, che può portare a una condizione chiamata Sindrome ostruttiva delle vie aeree del brachicefalo, che provoca difficoltà respiratorie, respiro rumoroso e altri problemi di salute. Quindi, quando pensate che sia carino sentirli russare o respirare faticosamente, sappiate che stanno in realtà vivendo una continua condizione di stress respiratorio. Ma anche il rapporto con l’ambiente sta cambiando: sempre più gli animali che fino a qualche decennio fa vivevano soprattutto in famiglie fuori città, con giardino annesso, oggi sono costretti in appartamenti di poche decine di metri quadrati e un paio di uscite giornaliere.
Pensare che stiano comodi su piastrelle scivolose, divani ricchi di acari o davanzali riscaldati è frutto di una visione distorta e antropocentrica. Ma, anche all’esterno, la situazione è discutibile: ci sono vestitini poco traspiranti, pettorine e collari elettronici. Se i rischi quali investimento o fuga erano maggiori qualche anno fa, sull’altro piatto della bilancia c’erano liberta e maggiori esperienze. «I proprietari non vogliono che i cani si comportino da cani» commenta sulle pagine del NYT James Serpell, professore emerito di etica e benessere animale alla School of Veterinary Medicine dell’Università della Pennsylvania. Che continua la sua analisi affermando che se oggi i cani sono ammessi in un numero crescente di luoghi destinati all’uomo - ristoranti, uffici, negozi, hotel e parchi con aree dedicate - la loro crescente presenza non si è tradotta in una maggiore indipendenza. Il confinamento e l’isolamento, a loro volta, hanno invece portato a un aumento dell’ansia da separazione e dell’aggressività. La domesticazione, come chiarisce la sezione educational del “National Geographic”, è il processo di adattamento di piante e animali selvatici all’uso umano, a scopo alimentare, di lavoro, di vestiario o medico, così come per compagnia. Da un punto di vista culturale, questo ha segnato un punto di svolta per lo stile di vita dell’uomo, come la sedentarietà, che ci ha permesso di sviluppare altre caratteristiche socio-culturali tipiche della nostra specie.
Infine ci si potrebbe chiedere cosa sia libertà per un cane o un gatto randagio. Senza dubbio i randagi non hanno garanzia di cibo o di cura, ma hanno un numero di possibili scelte comportamentali di gran lunga maggiore rispetto agli animali che passano la giornata fra divani e tappeti, un ambiente bel lontano dal loro habitat originale.
Non c’è nulla di male nel avere un animale da compagnia, ma dovremmo farci qualche domanda se lo trattiamo come un conspecifico. Questi atteggiamenti stanno minando le fondamenta della nostra società, dall’ambito alimentare a quello medico e connesso alla ricerca scientifica.
L’esperto
John Bradshaw della University of Bristol, uno dei principali esperti mondiali di comportamento degli animali domestici, in particolare cani e gatti, e uno dei pionieri del nascente campo dell’antrozoologia, la scienza delle interazioni uomo-animale, sostiene che la relazione con gli animali domestici è una componente fondamentale dell’evoluzione culturale e psicologica dell’essere umano. Non si tratta solo di un fenomeno moderno o sentimentale, ma di un comportamento profondamente radicato nella nostra natura. Nel suo best seller, “The Animals Among Us: How Pets Make Us Human” (2017), sostiene che pur riconoscendo i benefici reciproci della convivenza, le basi scientifiche di certe affermazioni sono fragili: se portare a spasso il cane ci fa bene alla salute, è perché stiamo camminando: il cane è secondario.
La relazione uomo-animale è un’interazione complessa, con aspetti simbiotici di estrema rilevanza, anche per la nostra evoluzione. Anziché considerare gli animali come persone, potremmo imparare a rispettare la loro natura diversa, riconoscendo che il vero segreto di questa convivenza è un equilibrio tra cura, libertà e consapevolezza delle differenze.
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