La grande narratrice: questo sia la scuola

La funzione selettiva e competitiva non è prevista in nessun documento dalla Costituzione in poi La missione dei docenti è raccontare il mondo ai ragazzi e ascoltare quello che hanno dentro

Sta per suonare di nuovo la campanella e milioni di bambini, ragazzi e adulti stanno per tornare a popolare le aule scolastiche. La scuola, l’istituzione più complessa della nostra democrazia, compie anche quest’anno il rito della ripartenza. Anni fa avevamo proposto che il giorno della riapertura delle scuole fosse proclamano festa nazionale: potremmo comunque festeggiarlo tra noi, con una pizzata di buon inizio insieme a scolari e studenti. Perché non offrire un gelato ai nostri figli come augurio di buon inizio, ricordando loro le cose belle che potranno trovare o ritrovare in classe?

Ma come possono gli insegnanti avvicinarsi positivamente a questo nuovo anno scolastico? Come possono dire ai ragazzi che hanno sentito la loro mancanza e che hanno voglia di farsi stupire da loro, dalla loro freschezza e dalla loro vitalità?

Anzitutto recuperando l’ottimismo. La scuola tiene. Nonostante il Covid, nonostante le guerre, oltre il male che sembra sempre più forte e più spietato, anche quest’anno, per duecento mattine, ci saranno bambini e ragazzi che chiederanno ad adulti di raccontare loro il mondo. E lo faranno rivolgendosi ai loro insegnanti, non (solo) a un video, a Chat GPT, a un trapper; lo chiederanno a insegnanti in carne ed ossa che sono comunque depositari di una fiducia profonda ed emozionata; sono “il mio maestro” o “la mia prof”, e quel “mio” dice già tutto l’affetto e l’amore che permeano la relazione educativa in classe. E che permette di raccontarsi reciprocamente la vita.

Scrigno di storie

Perché questo fa la scuola: intreccia storie, costruisce narrazioni; racconta la storia dell’Umanità, delle sue scoperte, della sua bellezza e dei suoi errori; narra il racconto della natura dall’atomo alle galassie, la storia della matematica, della filosofia, della fisica; prova a intrecciare le vicende di Renzo con quelle di Virgilio, fa incontrare Medea con Francesca da Rimini; ci riporta in campo a Waterloo o nel silenzio delle foreste che precedettero l’avvento dell’uomo. Ci fa emozionare con le vicende di una X in un’equazione o di un reagente chimico che non sappiamo bene che fine farà. La scuola è uno scrigno di storie, che inizia con le meravigliose scoperte della nostra (unica e insostituibile) scuola dell’infanzia fino alle Grandi Narrazioni della secondaria di II grado

Il programma non esiste

Forse questa potrebbe essere la chiave per il nuovo anno: restituire alla scuola il ruolo di grande narratrice. Eliminando ogni funzione di selezione (non prevista dalla Costituzione né da alcun documento ministeriale dal 1945 ad oggi), di “formazione della classe dirigente” (ma per quale mondo? Per quale società? Per quale Italia?), di preparazione alla competitività; tutti elementi che non c’entrano nulla con la scuola, che è il luogo nel quale si impara con gli altri e per gli altri, dove la cooperazione e la collaborazione sono l’anima dell’apprendimento.

E allora, oltre a raccontare le storie passate e presenti dell’Umanità (possiamo sperare che finalmente i ragazzi a scuola imparino la storia del Mondo dal 1945 a oggi?), la scuola dovrebbe imparare ad ascoltare le storie dei ragazzi e delle ragazze; che vengono narrate con parole, musica, danza, arte, sport, gesti, silenzi (soprattutto silenzi!), ovvero proprio con quegli alfabeti che costituiscono la spina dorsale della scuola; questi, e non il “programma”, parola che nella scuola è stata cancellata già dalla riforma Gelmini)

Ovviamente il primo ostacolo nei confronti di una scuola di questo tipo è l’ansia di verificare tutto e di valutare tutto che sempre più aleggia nei corridoi delle nostre scuole; perché si parla tanto di ansia da prestazione degli studenti ma in realtà questa è il sottoprodotto di un delirio valutativo per cui ogni azione, ogni gesto, ogni parola deve essere sottoposta a una categorizzazione numerica, a un algoritmo, alla terribile “media aritmetica”.

Non tutto si può valutare

Occorre ricordare che per fortuna, nella scuola come nella vita, vi sono anche apprendimenti che non si possono valutare, apprendimenti che non si devono valutare, apprendimenti che per scelta non vengono valutati; ma che avvengono, e spesso sono quelli più decisivi e sorprendenti. Un vero insegnante sa che è avvenuto un apprendimento nella mente e nel cuore di un ragazzo, e lo sa prima di verificarlo con i vari strumenti a disposizione: lo sa perché ha l’“occhio pedagogico” così come il medico ha “l’occhio clinico” che precede la diagnosi e orienta le ricerche diagnostiche. Che poi tutto possa essere tradotto anche in un numero, può anche essere accettabile; ma il numero è appunto la traduzione, sempre imperfetta, dell’originale esperienza di vita e di crescita che i nostri bambini e ragazzi compiono a scuola.

La valutazione è uno degli elementi del mondo della scuola (e ricordiamo che la valutazione non è il voto, che semmai ne è una parte e non certo la più importante); in questi anni è diventata il gorgo, il buco nero che assorbe tutto e tutto contamina.

Sta per suonare la campanella e milioni di bambini e ragazzi si stanno per posizionare di fronte agli adulti chiedendo “Allora, Prof, che mi racconta?”. Siamo pronti a narrare e soprattutto ad ascoltare le loro storie?

Buona scuola a tutti e tutte.

© RIPRODUZIONE RISERVATA