pADOVA
CITTà D’ACQUE INASPETTATe

Un’estate di parecchi anni fa con alcuni compagni di liceo, decidemmo di fare un tour, sull’unica auto disponibile: una vecchia volvo familiare, avendo come meta le città d’acqua d’Europa. Visitammo Mulhouse e Strasburgo, ambedue in Alsazia e poi Gand e infine Bruges nelle Fiandre.

I miei amici erano da qualche anno all’università di Padova ed è stata proprio questa città ad ispirare il viaggio. Padova infatti è una città d’acque, circondata e attraversata da fiumi, navigli e canali; con rive, ponti, palazzi, mura medievali e rinascimentali, fortilizi e castelli. Tuttavia se chiedi a qualcuno che conosce Padova o che l’abbia visitata solo sommariamente, non avrà, nella maggior parte dei casi, questa percezione liquida della città.

Padova è cinta da due fiumi: il Brenta a nord e il Bacchiglione a sud, dove il primo infine accoglie il secondo per sfociare per mano nella laguna di Venezia.

Nel corso del tempo, attorno a Padova, furono scavati lunghissimi e chilometrici canali, come nel 1209 il Piovego e nel 1309 il Brentella, che permisero la navigabilità di persone e merci verso il mare Adriatico. Attraverso fiumi, canali e navigli, che erano le autostrade di allora, tutto l’ovest veneto e parte del Trentino e del Tirolo, poterono essere collegati a uno dei più considerevoli motori commerciali dell’epoca che collegava il nord Europa a tutto il mar Mediterraneo: La Serenissima Repubblica di Venezia.

L’impronta medievale

Padova è una città dall’impronta fortemente medievale, infatti i suoi più importanti e significativi monumenti appartengono tutti a quell’epoca. La meravigliosa Cappella degli Scrovegni affrescata da Giotto nel 1303 con le storie di San Francesco e il Giudizio Universale. La basilica di Sant’Antonio iniziata nel 1232. e il grandioso Palazzo della Ragione del 1220 che contiene una delle sale pensili più notevoli al mondo, per la sua bellezza e dimensioni, con la lunghezza di ottanta metri del salone e i quaranta del suo soffitto a scafo di barca rovesciata.

La città storica è circondata da una cinta muraria lunga più di undici chilometri, che all’interno ne contiene un’altra più ridotta di epoca romana e medievale. Le mura hanno porte, ingressi d’acqua e una ventina di fortilizi e si possono percorrere a piedi o in bicicletta quasi tutte su sentieri tra le barene, che sono spazi d’erba tra il fiume e le maestose mura rinascimentali veneziane che furono erette dopo che la città venne assediata, dalle truppe imperiali di Massimiliano d’Austria ai tempi della Lega di Cambrai nel 1509.

La nostra passeggiata inizia dal “Ponte dei Cavai” che è il ponte più a sud della città, dove c’era il cambio dei cavalli che servivano a trascinare controcorrente le chiatte e le barche più pesanti. Qui il fiume Bacchiglione fa una curva a gomito da sud verso est, mentre in direzione nord si distacca un canale dal nome di Tronco Maestro che si dirige verso il centro della città.

Noi proseguiamo in questa direzione lambendo il parco Margherita Hack che costeggia la riva interna del naviglio tra alberi secolari e prati fino al bastione Alicorno, fortilizio di difesa della città con una vasta sala sotterranea, dove d’estate si allestiscono opere teatrali ed è consigliata, oltre alla prenotazione, una giacca per il fresco che fa anche nelle sere più calde d’estate. Subito dopo troviamo un piccolo ponticello pedonale in ferro, il ponte Goito, dove s’intravede il traffico cittadino sulla affollata via omonima, mentre noi continuiamo la nostra passeggiata sull’altra quieta riva del fiume assieme a ragazzi e cani festosi che ci corrono intorno.

Il parco Giorgio Perlasca

Si passa poi, seguendo una larga golena verdeggiante, davanti al parco per bambini intitolato a Giorgio Perlasca, un commerciante comasco che salvò cinquemila ebrei ungheresi della deportazione nell’inverno del ’44 a Budapest, fingendosi l’ambasciatore spagnolo. Si sposò, finta la guerra, con una ragazza di Padova e qui morì nel ’92. Una commovente, coraggiosa e rocambolesca vicenda, tardivamente riconosciuta, che fa bene al nostro cuore ricordare ora e ancora.

Dopo poche centinaia di metri di percorso, si può salire sopra il ponte Paleocapa, di fronte a una nuova biforcazione del canale ed avere una visione straordinaria contemplando uscire dall’acqua l’alta torre del castello medievale della Specola, chiamata anche Torlonga per la sua altezza, costruita nel 1240 dal condottiero Ezzelino III da Romano, come torre di difesa e avvistamento. Dal 1767 ospita l’Osservatorio Astronomico che è tutt’oggi in attività ed è visitabile nella parte antica assieme ad un contenuto, ma cospicuo museo. Ovviamente non ci lavorò mai Galileo Galilei che all’università di Padova, dove insegnò per quindici anni, era arrivato quasi due secoli prima, nel 1590. Ma di Galileo si può visitare, all’interno dell’Università di Padova a Palazzo Bo, l’antica aula detta “Dei Quaranta” che, quando insegnava, era sempre affollatissima, assieme all’alta cattedra lignea che gli fu costruita appositamente dai suoi studenti per poterlo vedere e sentire meglio.

Nelle vicinanze dell’Università c’è il famoso caffè, risorgimentale, Pedrocchi, uno dei più belli e antichi d’Italia, inaugurato nel 1830 e amato da tanti, tra cui Stendhal che lo descrisse ammirato ne “La Certosa di Parma” e lo definì «il migliore ristorante d’Italia».

Lasciando il Tronco Maestro e la riviera dei ponti romani, prendendo a destra verso il Naviglio Interno e seguendo la riva si giunge alla casa natale del grande architetto Andrea Palladio, cui deve molto tanta architettura neoclassica europea e non, tra cui la villa reale inglese detta Queen’s House, a Greenwich vicino a Londra, la Casa Bianca a Washington e il Parlamento d’Irlanda a Dublino.

Poco distante il canale finisce, perché fu interrato negli anni Cinquanta, per le continue esondazioni. Girando verso destra si arriva in poco tempo nell’ampia piazza del Santo, dove sorge la grande basilica di Sant’Antonio da Padova, che per i padovani è il Santo per antonomasia, e che toglie il fiato per la sua solenne e unica monumentalità. La basilica, iniziata a metà del XIII secolo, è un singolare esempio di sintesi di vari stili architettonici. La facciata è a capanna romanica, ma gli archi di sostegno laterali, le cappelle e l’abside sono invece in stile gotico. Le cupole sono in forme bizantine e ricordano quelle di San Marco a Venezia o meglio di Santa Sofia ad Istanbul, anche perché ci sono due piccoli campanili sulla sommità che sembrano minareti.

Voltando per via San Francesco si arriva alla porta di Pontecorvo, antico ingresso orientale della città romana che prende il nome dal vicino ponte a tre arcate del II secolo d. C. Il nome corvo è la storpiatura del latino “curvus” perché il ponte fu edificato piuttosto arcuato per permettere il passaggio delle persone anche durante le piene. Passando sul ponte si gode una magnifica vista sul canale Alicorno, contornato da salici, olmi, frassini e magnolie e dalle alghe fluttuanti che accompagnano la corrente, che pare di essere stati risucchiati dentro un quadro di Monet, dove i colori vibrano al tremolare delle foglie sull’acqua e la luce è una brezza che ci fa dimenticare di essere nel prezioso silenzio di una affollata e affaccendatissima città.

L’isola verde

Questa sensazione di quiete e di bellezza permane attraversando il piazzale dove si apre il Parco Treves: un sorprendente esempio di giardino romantico all’inglese al centro della città. Un giardino che fu commissionato dalla famiglia israelita veneziana Traves de’ Bonfili, all’architetto Jappelli, negli anni trenta dell’Ottocento e poi donato filantropicamente alla città. Al confine del parco, tra alberi secolari e aiuole di rose antiche, si intravedono la piazza del Santo e l’esteso Prato della Valle una delle più grandi piazze d’Europa, di forma ellittica, con un’isola verde al centro, contornata dall’acqua e da una balaustra ornata da statue di illustri personaggi patavini. La visione della piazza è tardo-settecentesca e questo ingentilisce e da coerenza allo scenario dalle lievi montagnole del giardino Treves da cui lo osserviamo.

Inutile aggiungere che Padova oltre che una città d’acqua, con una doverosa e ossimorica nota, è anche una rilevante città del vino, delle nuove e larghe locande e delle vecchie, piccole e grandi osterie. È la città delle turbolente feste universitarie celebrate nelle magnifiche piazze che la adornano, come piazza delle Erbe e piazza dei Signori, dove scorrono fiumi di vino, di letteratura, di burle, di facezie, di scritti e di murales licenziosi in veneto, in italiano, e soprattutto in latino maccheronico, a cui si possono aggiungere recenti e antiche canzonacce in erranti e collettive euforie. Una città dove ad ogni angolo trovi un posto dove sederti a prendere un “cicheto” e brindare con uno o verosimilmente più bicchieri di Prosecco, di Custoza, di Soave, di Malvasia Istriana o di Tocai e sentire le battute chiassose colme dell’ironia, del sarcasmo, della scurrilità e dell’allegria dei padovani che ti scorre intorno come la corrente dei loro tanti fiumi, ruscelli, rogge e canali che fanno da cintura e da corona a questa bella, unica, antica città.

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