Quando Stendhal si fingeva lariano

Vi proponiamo alcuni passi del viaggio in Italia del grande scrittore francese appena ripubblicato In Toscana si disse comasco, ammirava Manzoni, il Resegone, Villa Amalia di Erba e Villa Carlotta a Tremezzo

Per gentile concessione dell’editore Humboldt Books, vi proponiamo alcuni stralci dal libro di Stendhal “Roma, Napoli e Firenze” appena ripubblicato in una elegante edizione illustrata di 360 pagine (costo 28 euro). L’introduzione e la traduzione - firmate rispettivamente da Carlo Levi e Bruno Schacherl - sono già note ai lettori più appassionati, nuovo invece è l’apparato fotografico di Delfino Sisto Legnani. Nel suo diario di viaggio, pubblicato nel 1826, lo scrittore francese annota osservazioni, giudizi, aneddoti, discorsi captati al volo che toccano tutti i momenti della vita, dalla politica alla religione, dal costume all’arte, dell’Italia del tempo.

Milano, 4 ottobre

Oggi ho visitato i commoventi affreschi di Luini a Saronno, la Certosa di Carignano con le pitture di Daniele Crespi, ottimo pittore che aveva visto i Carracci e sentito il Correggio. Ho visto Castellazzo. Non mi è per niente piaciuto un castello di Montebello, celebre per il soggiorno che vi fece Bonaparte nel 1797. In base al principio major e longinquo reverentia, sin da allora Bonaparte non voleva abitare le città ed essere prodigo di sé. Lainate, un giardino pieno di elementi architettonici, di proprietà del duca Litta, mi è piaciuto. Questo cortigiano di Napoleone non ha fatto il girella dopo il 1814; ha sfidato coraggiosamente l’ira dei “tedeschi”. Notate che Napoleone lo aveva fatto gran ciambellano senza ch’egli lo chiedesse. Il duca Litta ha composto un libro, stampato in un solo esemplare, che intende bruciare prima di morire. Si dice che abbia da sette a ottocentomila lire di rendita. Ho visto da lontano, in un viale di Lainate, la moglie di suo nipote, il “duchino”; è una tra le dodici più belle donne di Milano. Io le trovo l’aria sdegnosa degli antichi ritratti spagnoli. Conviene guardarsi bene dal passeggiare soli a Lainate; il giardino è pieno di getti d’acqua fatti apposta per inzuppare gli spettatori. Posando il piede sul primo gradino di una certa scala, sei getti d’acqua mi sono schizzati tra le gambe.

In Italia gli architetti di Luigi XIV impararono il gusto dei giardini come Versailles o le Tuileries, dove l’architettura si mescola con gli alberi.

Il “Rezegon di Lek”

Al Gernetto, villa del famoso bigotto Mellerio, ci sono delle statue di Canova. Ho rivisto Desio, un semplice giardino inglese, a nord di Milano, che mi sembra più bello di tutti gli altri. Si vedono vicine le montagne e il “Rezegon di Lek” (la Sega di Lecco). L’aria è più salubre e viva che a Milano.

28 ottobre, 5 del mattino, uscendo dal ballo

A questo ballo sono stato presentato ai signori Romagnosi e Tommaso Grossi. Lì ho visto Vincenzo Monti. Al signor Manzoni, dicono, la devozione ha impedito di venirci. Sta traducendo l’“Indifferenza” del signor de Lamennais. A parte questo, è da paragonarsi a lord Byron nella lirica.

Milano, 25 novembre

Mi piace assai viaggiare in sediola; qualche volta ci si bagna, come m’è successo oggi, ma si è costretti a guardare il paesaggio, e io sperimento che questo è il modo per conservarne il ricordo. Sono andato al “Pian d’Erba”, sulle rive del lago di Pusiano, a visitare la villa Amalia, di proprietà del signor Marliani. Ho percorso i viali del suo giardino inglese sotto una pioggia a dirotto, con un ombrello. Ciò guasta il piacere, ma il viaggiatore spesso vi è costretto. [...]

Milano, 3 dicembre

[...] Per sei mesi dell’anno, se un polacco rimane una notte soltanto esposto alle intemperie, muore. Qui, in Lombardia, non esistono, ci scommetto, quindici notti all’anno inclementi come le notti in Polonia dal 1° ottobre al 1° maggio. Alla Tremezzina, sul lago di Como, accanto alla bella casa del signor Sommariva (oggi Villa Carlotta, ndr), c’è, mi dicono, un arancio che vive all’aria aperta da sedici anni. I mali della tirannide sono dunque stati sufficienti qui a rimpiazzare l’inclemenza della natura? [...]

Belgiojoso, 14 dicembre

[...] Il signor Isimbardi, uomo superiore, uno dei miei nuovi amici, voleva assolutamente accompagnarmi al lago di Como. «Cosa andate a cercare a Roma? mi disse ieri sera al caffè dell’Accademia. La bellezza sublime? Bene: il nostro lago di Como è in natura quello che le rovine del Colosseo è in architettura, e il San Gerolamo del Correggio tra i quadri». – «Non partirei mai, gli risposi, se dessi ascolto al mio cuore. Consumerei tutta la mia licenza a Milano. Non ho mai incontrato un popolo che si adatti di più al mio stato d’animo. Quando sono coi milanesi, e parlo milanese, mi scordo che gli uomini sono malvagi, e tutta la parte malvagia dell’animo mio s’addormenta immediatamente». [...]

Castelfiorentino, 1° febbraio, alle due del mattino

Questa sera, alle sei, tornando da Volterra, sono entrato in questo villaggio, situato a poche leghe da Firenze. Avevo attaccato alla mia sediola il cavallino più magro e più veloce del mondo: ma l’ho controllato in modo da essere costretto a chiedere ospitalità in una casa di Castelfiorentino, tra Empoli e Volterra. Ho trovato tre di quelle contadine toscane tanto graziose e superiori, a quel che dicono, alle signore di città. C’erano sette od otto contadini dietro a loro. Ve la do a mille se indovinate l’occupazione di quella società di coltivatori: improvvisavano, a turno, racconti in prosa del genere delle “Mille e una Notte”. [...]

Paragono questa serata a quelle che passai alla Scala, il giorno del mio arrivo a Milano: un piacere appassionato inondava la mia anima e la affaticava; il mio spirito faceva uno sforzo per non lasciarsi sfuggire alcuna sfumatura di felicità e di voluttà. Qui, tutto è stato impreveduto, piacere dello spirito, senza sforzo, ansia, batticuore; era come un piacere d’angeli. Consiglierei al viaggiatore di farsi passare nei villaggi toscani per un italiano di Lombardia. Appena apro bocca, i toscani si accorgono che io parlo malissimo; ma, poiché le parole non mi mancano, nel loro superbo disdegno verso tutto ciò che non è “toscana favella”, quando dico loro che sono di Como, mi credono senza esitazione. Rischio, è vero: sarebbe seccante trovarmi faccia a faccia con un lombardo; ma è “uno dei pericoli del mio stato”, come dice al saggio Ulisse Grillo cambiato in porco da Circe. La presenza di un francese darebbe immediatamente una fisionomia completamente diversa alla conversazione. [...]

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