Bypass e angioplastica e le nuove tecniche di cardiochirurgia: così il cuore può ripartire

Cardiologia Introdotta al San Raffaele di Milano una nuova procedura di rivascolarizzazione miocardica per trattare la patologia ischemica

Una procedura di rivascolarizzazione miocardica ibrida per il trattamento della patologia ischemica del cuore. Si tratta di una nuova modalità di intervento che viene eseguita in pochi centri in Italia e che recentemente è stata introdotta anche all’Irccs Ospedale San Raffale di Milano.

«La procedura – spiega Andrea Blasio, responsabile dell’Unità funzionale tecniche chirurgiche mininvasive all’interno dell’Unità di Cardiochirurgia del San Raffaele - prevede un intervento combinato di cardiochirurgia attraverso il bypass coronarico e l’intervento di angioplastica coronarica percutanea con stent. Questa soluzione permette di associare i benefici a lungo termine del bypass coronarico mininvasivo del principale ramo coronarico, l’arteria interventricolare anteriore bypassata con l’arteria mammaria interna, al trattamento di angioplastica dei restanti rami coronarici».

Come sottolinea lo specialista la procedura non è nuova, ma sono state introdotte delle migliorie come il raffinamento delle strumentazioni che ha consentito di certificare risultati sempre più positivi. «Grazie al miglioramento delle tecniche di angioplastica percutanee – prosegue – e la possibilità di eseguire un bypass a cuore battente con un approccio minivasivo, si è riusciti a superare lo scetticismo che in passato c’era nei confronti di questa procedura in ambito cardiologico». In passato, infatti, si pensava che non ci potessero essere grandi vantaggi nell’associare le due procedure, ma il tempo, i dati e le evidenze scientifiche hanno consentito un cambio di rotta.

I trattamenti classici per la patologia sono l’intervento cardiochirurgico di bypass coronarico (Cabg) in sternotomia mediana con la circolazione extracorporea ed eventuale arresto cardiaco e l’angioplastica coronarica (Pci). Nel primo caso si procede con il prelievo di arteria mammaria interna e di un segmento di vena grande safena, che vengono utilizzate per bypassare le stenosi coronariche. Nel secondo caso, invece, attraverso l’arteria radiale viene introdotto un catetere che permette di dilatare il punto in cui è presente l’occlusione e posizionarvi uno stent. Tra i limiti dell’intervento tradizionale ci sono una maggiore invasività e un ricovero più prolungata, per l’angioplastica coronarica sono la precoce recidiva di malattia e la necessità di ripetere la procedura di rivascolarizzazione.

«I vantaggi dell’intervento ibrido sono molteplici – aggiunge Blasio – primo fra tutti il tempo che il paziente trascorre in terapia intensiva, quindi intubato, che è decisamente ridotto rispetto ad altri interventi. L’invasività è ridotta, inoltre, in quando la ferita chirurgica è più piccola e questo riduce anche il rischio di infezioni. Minore anche il tempo di degenza. Tutto questo si traduce in una prognosi migliore per il paziente, soprattutto per quanto riguarda i risultati a lungo termine». I pazienti candidabili all’intervento sono tutti i pazienti che hanno una malattia coronarica che necessita della chirurgia, anche se per i pazienti con occlusioni delle coronarie complete è indicata un’altra procedura chirurgica.

Una volta dimesso il paziente viene indirizzato a una struttura dedicata per qualche settimana di riabilitazione per poi tornare in ospedale per il completamento della rivascolarizzazione con una procedura emodinamica con angioplastica, che consente di controllare il buon funzionamento del bypass. Il giorno successivo il paziente può andare a casa. In base al singolo caso verrà prescritta una terapia farmacologica per il trattamento della malattia aterosclerotica coronarica. Il follow up prevede un controllo cardiologico a tre mesi, poi a sei mesi, fino a arrivare a un controllo annuale.

«In futuro la procedura verrà implementata con l’utilizzo del robot – conclude Blasio – che in alcune strutture viene già utilizzato per il prelievo dell’arteria mammaria interna che è la procedura tecnicamente più delicata, per poi eseguire la procedura di bypass in visione diretta attraverso toracotomia».

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