Come saranno i medici del futuro? «Al lavoro in gruppo e più vicini ai pazienti: non dobbiamo restare soli»

Intervista Gianluigi Spata, presidente dell’Ordine dei medici di Como: «Dobbiamo tornare a fare le visite»

Mai come in questi anni i medici sono sotto ai riflettori. Prima eroi della pandemia e poi professionisti in fuga sempre più introvabili.

Il nostro territorio, senza ancora riuscirci, sta immaginando una nuova organizzazione per far fronte alla grave carenza di camici bianchi.

Rincorrendo un mestiere non più ambito e riconosciuto come in passato.

Dottor Gianluigi Spata, presidente dell’Ordine dei medici di Como, che futuro ha la professione medica?

Se vogliamo dare ai medici un futuro dobbiamo cambiare la formazione dei giovani specialisti, per incentivare carriere che oggi non vengono considerate, con banchi che restano vuoti. Noi medici di medicina generale nello specifico invece dobbiamo puntare sulla medicina di gruppo. Non dobbiamo restare soli. Dobbiamo lavorare accanto ad altri colleghi, ma anche insieme ai pediatri, agli infermieri, con il supporto del personale amministrativo. Per prendere in carico davvero i pazienti, offrendo anche l’assistenza domiciliare. Dobbiamo tornare a fare le visite.

Nelle famose case di comunità?

No, io guardo a una rete di medici. Le case di comunità all’interno dei presidi ospedalieri si faranno, ma a mio parere non devono smantellare la presenza capillare garantita dai nostri ambulatori. Possono servire in parallelo per fare diagnostica di primo livello. A turno i medici lì potrebbero fare ecografie, spirometrie, esami semplici per i quali c’è molta domanda.

Ma se poi finiamo tutti in ospedale?

La rete della medicina territoriale serve proprio a fare da argine e da filtro, ad evitare gli accessi impropri al Pronto soccorso. Dobbiamo trovare una integrazione con gli ospedali e gli specialisti, comunicare con loro per dare consigli e suggerimenti agli assistiti.

Gli Ordini dei medici si dicono invisibili?

È lo slogan scelto quest’anno dalla nostra federazione, perché siamo in effetti rimasti in larga parte inascoltati. Oggi piangiamo la mancanza di medici, ma noi abbiamo tante volte segnalato per tempo queste criticità. Nessuno però ci ha dato retta.

Troppi pensionati, pochi laureati?

Fino ad almeno il 2026 nel nostro territorio i pensionamenti aumenteranno. Per ancora diversi anni la situazione resterà critica. Per risolvere questa crisi dobbiamo però guardare più avanti e chiederci perché la professione non è più attrattiva. La colpa è dei pochi investimenti, degli scarsi incentivi, della troppa burocrazia.

Ma se secondo qualcuno lavorate poco?

Non direi, ormai ci sono medici di famiglia con 2.400 assistiti a Como, quando il massimale a 1.500 è già difficile da seguire. Mancano oltre un centinaio di medici su trecento circa nella nostra provincia. Tanti assistiti pretendono la risposta subito via Whatsapp, ma non comprendono la nostra difficoltà.

Peggio in Pronto soccorso?

I colleghi impegnati nell’emergenza urgenza sono esposti a grandi responsabilità e pericoli. Si trovano nell’imbuto del sistema sanitario. In un clima spesso teso, con turni gravosi. Meritano riconoscimenti, come per esempio gli anestesisti o gli internisti. Non possono farci molto loro se gli ospedali hanno pochi posti letto e non riescono a ricoverare nei giusti tempi, lasciando sulle barelle gli anziani. A Como, è un fatto, i posti letto ospedalieri rispetto alla popolazione residente sono pochi.

Il ricordo più brutto del Covid?

Le strade vuote e silenziose. Il rumore delle sirene. La fila delle ambulanze fuori dagli ospedali. I pazienti lasciati in Pronto soccorso e mai più rivisti.

Il più bello invece?

La solidarietà. Infermieri, medici, volontari, eravamo tutti uniti in un corale spirito di sacrificio riconosciuto dalla cittadinanza.

Potevamo fare meglio?

Eravamo impreparati. All’inizio abbiamo lavorato a mani nude. E purtroppo troppe persone, medici compresi, non ce l’hanno fatta.

Cosa vorrebbe custodire di più della medicina?

Il rapporto con il paziente. La fiducia e il rispetto sono fondamentali. La conoscenza reciproca tra assistito e dottore è un bene prezioso per la tutela della salute e al contempo del nostro mestiere. Meglio se il rapporto è continuativo nel tempo. Oggi sempre più spesso c’è solo un dialogo tra sconosciuti.

È più facile una visita online?

Ma guardi che l’informatica è molto utile. A parte quando s’inceppa, permette di consultare tutta la storia clinica, potendo fare confronti in breve tempo prima inimmaginabili. Possiamo migliorare lo strumento, certo, ma di per sé è un attrezzo prezioso. Certo non significa escludere il contatto, il confronto, l’ascolto. La mano sulla pancia e l’orecchio sulla schiena del paziente. Per me la visita si fa così, c’è un limite materiale che non può essere dimenticato. Ma sui passi avanti della tecnologia non bisogna avere pregiudizi.

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