La cecità da glaucoma non si cura ma si previene

L’intervista Nel tempo la malattia, se non diagnosticata, danneggia la visione periferica fino a portare a condizioni irreversibili

Il glaucoma è la seconda causa di cecità al mondo. Secondo l’ultimo “World Report on Vision” dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sono circa 64 milioni le persone nel mondo affette da glaucoma. Tra queste, 7 milioni hanno manifestato perdita della vista o cecità. Fondamentale la prevenzione come ricorda anche Gaspare Monaco, responsabile dell’unità operativa di Oculistica dell’Irccs Policlinico San Donato.

Dottore che cos’è il glaucoma?

La prima cosa da sottolineare quando si parla di glaucoma è che esistono varie tipologie di glaucoma, per questo è considerato una patologia molto eterogenea, con sintomi che variano a seconda della forma. La forma più diffusa, che possiamo dire rappresenta il 95% dei casi, è il glaucoma primario a angolo aperto, ma esistono anche il glaucoma acuto o a angolo chiuso, quello congenito, il glaucoma secondario e quello neovascolare.

Quali sono le cause?

Va detto che ancora oggi le cause del glaucoma non sono note per questo si parla di malattia idiopatica. Quello che si riscontra nella maggior parte dei casi è un aumento della pressione interna dell’occhio, la cosiddetta pressione intraoculare, che porta a un danno irreversibile al nervo ottico e nel peggiore dei casi a cecità. Dobbiamo immaginare il nervo ottico come una struttura che collega il bulbo dell’occhio al cervello. Il bulbo recepisce le immagini che noi vediamo, il nervo ottico, come fosse un cavo elettrico, trasporta queste immagini al cervello che è l’organo che elabora ciò che noi vediamo.

Esistono dei campanelli di allarme?

Purtroppo no, il glaucoma è una malattia che nelle prime fasi è silente e che progredisce così senza dare alcun sintomo. Nel tempo la malattia danneggia la visione periferica fino a portare a condizioni irreversibili. La prevenzione attraverso lo screening è così la prima arma per intercettare la malattia prima che si manifesti anche perché oggi, fortunatamente, se il glaucoma è diagnosticato e curato precocemente si può interrompere la diminuzione della vista legata alla progressione della malattia.

Ma quanto tempo può passare dall’esordio della malattia alla manifestazione dei sintomi?

Dai 5 ai 10 anni, ecco perché la prevenzione è tutto. Solo intervenendo in tempo possiamo cambiare il decorso della vista e della vita del paziente. L’invito così è, a partire dai 40 anni, visto che la malattia è più frequente tra i 40 e i 60 anni, a sottoporsi a controlli periodici dall’oculista.

Come avviene la diagnosi?

La diagnosi parte dall’analisi della pressione intraoculare perché, come detto, nella maggior parte dei casi di glaucoma questa è più alta della norma. L’esame di base che consente questa analisi è la tonometria. In caso di sospetto possono essere eseguiti ulteriori accertamenti di secondo livello.

Quali?

In passato l’esame computerizzato del campo visivo era la prima scelta, oggi la tomografia ottica computerizzata (Oct) consente di effettuare delle scansioni retiniche e corneali molto precise, dando informazioni sul nervo ottico. Gli studi dimostrano che questo esame è in grado di anticipare la diagnosi di glaucoma di cinque anni.

Come ha detto poco si sa sulle cause ma ci sono dei pazienti più a rischio?

Oltre a sapere che le persone che hanno una pressione intraoculare elevata hanno un rischio nettamente superiore di avere diagnosi di glaucoma e di avere una progressione più veloce, ci è noto che ci sono altri fattori, sia oculari sia di salute generale, che possono essere considerati fattori di rischio. Invecchiamento, familiarità e diabete sono alcuni di questi, poi la miopia, le persone con un ridotto spessore della cornea centrale. Ma fattori di rischio sono anche aver subito degli interventi agli occhi o condizioni post traumatiche sia chirurgiche sia contusive.

Una volta posta la diagnosi cosa è possibile fare?

Esistono vari livelli di trattamento che vengono prescritti anche in base alla gravità della malattia. Il trattamento di prima linea è di tipo medico con la somministrazione di uno o più colliri, che hanno la funzione principale di favorire il deflusso dei liquidi che ci sono all’interno dell’occhio e quindi di abbassare la pressione oculare. Le molecole più utilizzate sono i betabloccanti, le prostaglandine, gli alfa-agonisti e gli inibitori della anidrasi carbonica. Se i colliri non funzionano o se il paziente non ritiene di poter rispettare la terapia, allora la soluzione sono i trattamenti laser.

Esistono più tecniche laser?

Si, la più nota è la trabeculoplastica. Grazie a un laser di ultima generazione, definito micropulsato, questa tecnica si è ulteriormente affinata. L’intervento ha un effetto analogo al precedente ma è meno invasivo per le strutture dell’occhio che vengono sottoposte a trattamento laser. Esistono poi dei laser che possono essere definiti come una via di mezzo tra l’intervento chirurgico e la trabeculoplastica, il più noto è la ciclofotocoagulazione transclerale che viene eseguita in sala sterile e con anestesia dell’occhio.

Quando è necessario l’intervento chirurgico?

Quando tutte le strategie precedentemente citate non hanno portato al risultato sperato o quando il paziente è allergico ai farmaci per il glaucoma. La chirurgia del glaucoma negli anni è cambiata moltissimo e oggi esistono trattamenti mininvasivi che consentono di introdurre degli stent che collegano parte interna e esterna dell’occhio e quindi di mantenere una normale pressione oculare. Il follow up per questi pazienti è più semplice rispetto al passato in quanto le tecniche mininvasive hanno consentito di ridurre le complicanze. Certo, questi pazienti devono fare un controllo ogni sei mesi a vita, in quanto la malattia è cronica.

Ci ha spiegato che negli anni il trattamento del glaucoma è molto cambiato, quali le nuove prospettive?

Sicuramente si lavora al perfezionamento della chirurgia e della ricerca di biomateriali che consentano un controllo più a lungo termine della malattia. I microdevice hanno segnato un passo importante e si prosegue su questa strada.

La ricerca delle cause scatenanti resta una priorità?

Senza dubbio. Si cercherà di interpretare meglio la malattia, di cui c’è una base di tipo genetico, ma resta oscuro al momento se la causa è di tipo neurologico. Il sospetto è che il nervo ottico, a causa di una malattia neurologica, si danneggia e che una elevata pressione intraoculare vada a peggiorare la situazione.

Quali sono i segnali che fanno propendere per una causa neurologica?

Sappiamo che i pazienti con glaucoma normotensivo o a pressione bassa non hanno una pressione intraoculare alta e che, per certi versi, hanno una prognosi più negativa rispetto al glaucoma normale, proprio perché non abbiamo grosse terapie, in quanto la maggior parte delle soluzioni serve a abbassare la pressione. Si sta cercando così un protocollo di neuroprotezione per individuare le molecole che possono andare a preservare la sopravvivenza delle fibre nervose del nervo ottico. La molecola più utilizzata negli ultimi anni è la citicolina e nei pazienti con glaucoma andrebbe fatta una integrazione in questo senso.

Cosa si sente di dire ai nostri lettori?

Quando vedo un paziente che arriva con un danno avanzato io mi arrabbio molto, non lo nascondo, perché nel 2024 non si dovrebbe arrivare a questo tipo di danno. Questo vuol dire che il paziente non ha fatto prevenzione ma anche nessuno lo ha invitato a farlo o che le terapie non sono state fatte nel modo più idoneo. Credo servano campagne di informazione più incisive.

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