Caro Renzi, ascolta
mio cugino Severino

Quel muro del lago di Como, che volge a mezzogiorno tra viale Geno e i Giardini, lungo l’ampio arco lunato dei viali Trento e Trieste? Quello che, dopo essere stato abbattuto, ha lasciato una sequenza di assi, travi, tavolati, tubi, pali e ferri storti e rugginosi e toglie all’occhio la visione di un largo tratto del primo bacino, al punto che quasi diresti che il lago, con le sue ville e le sue verzure, più non esista? Sì, quello. «Oh, Dio mio, è una cosa orribile». Orribile, orrenda, tremenda, orripilante, mostruosa, anziana signora straniera con il trolley e il Baedeker che vieni di lontano per vedere il lago di Clooney, e tu, giovane signora con bimbo a mano e passeggino che il tuo lago lo hai sempre visto là fin da piccola, appena oltre le belle volute della ringhiera con i timoni. Orribile davvero, signore mie, ma il problema non è il muro (630.000 risultati reperiti da Google in 0,61 secondi) e tutto quello che ancora oggi da tanta parte dell’orizzonte lo sguardo esclude. Il problema, anzi l’orrore, lo scandalo, il disonore, la vergogna, l’indecenza, lo scempio e l’ignominia, gli è la classe politica che ha amministrato la città negli ultimi dieci anni e che, usando i nostri soldi, ha permesso che tale sconcio avesse inizio, e ha sopportato e ancora sopporta, tra alterne vicende, che duri. Fino a quando e quelli di una fazione e quelli di quell’altra che alla prima è succeduta abuseranno della nostra pazienza? Fino a quando dovremo sopportare che personaggi di dubbia competenza, impedimenti burocratici, cavilli giuridici, beghe interne tengano prigioniero il nostro lago?

Vero è ben, amiche e amici. Aveva ragione mio cugino Severino, che al primo comparire di ruspe e trivelle, mazze e putrelle, ebbe mestamente a commentare «Tanto ’ste paratie non le finiranno mai». Certo Severino non è un modello di ottimismo nei riguardi delle cose in cui ci sono di mezzo i politici, ma non è neanche una vana Cassandra o uno stupido e aveva visto giusto: come quando, guardando sul far di una notte d’inverno dei tali con l’elmetto in testa dare il via, tra luci fiammeggianti nel cielo e forse anche musiche, alla demolizione della Ticosa, quasi divinamente ispirato sussurrò: «Tra cinquant’anni qui ci saranno solo macerie e erbacce e putridi stagni senza pesci e ranelle, ma solo topi e zanzare dappertutto».

E come dargli torto? Come non irritarsi, adombrarsi (letterario), stizzirsi, arrabbiarsi (popolare), infuriarsi, infiammarsi, incazzarsi (volgare) insieme a lui, al ricordo di quel tal pubblico amministratore che, proprio parlando del muro prima di andarsene (dimissionario o dimesso?) e promosso, per via della bella prova, a fare danni in altra sede, uscì fuori a dire che il muro una funzione alla fin fine l’aveva, perché così gli automobilisti non avrebbero più potuto distrarsi a guardare il lago? Certo, amiche e amici cari, bisogna riconoscere che nella fattispecie il lago non è stato d’aiuto, con un paio di belle invasioni di campo fuori dalla sua natural sede, a coloro, e fur tanti, che concepirono l’artificioso piano di erigere le cosiddette paratie allo scopo di bloccare folcloristiche esondazioni che facevano sembrare piazza Cavour una piccola piazza San Marco, attirando con le loro passerelle i milanesi e i varesini e danneggiando in sostanza solo le assicurazioni.

Ah Severino, Severino mio, cosa si potrà mai fare per porre rimedio ai guasti e ai danni che i nostri amministratori hanno, da par loro, causato? Ahimè, Severino: vale la pena di pugnare ancora? Gli auspici non sono propizi e le passate cause per cui combattesti furono inutili. Inutile fu, per esempio, la tua guerra, in verità perduta in partenza, contro la raccolta differenziata in città, che disturbava la tua quiete e ti obbligava a fare quello che altri erano pagati anche da te per fare, e a tenere in casa non una ma quattro pattumiere per quanto piccole; e ancora aspetti che, a fronte del tuo impegno, ti venga almeno ridotta la tassa sui rifiuti, visto che alla differenziazione delle eccedenze della civiltà dei consumi collabori tu e che il Comune qualcosa dovrà pur guadagnare dagli scarti che con tanta amorevole rabbia vieni separando gli uni dagli altri.

Che fare, dal momento che qualcosa si dovrà pur fare, perché ormai più non regge il nostro amore per questo nostro lago ingabbiato, recluso e incarcerato? Dal momento che il Comune ha fallito, che ha fallito la Regione e che la Provincia non c’è più e visto infine che Dio è, come è giusto, preso da altri pensieri e da altre preoccupazioni effettivamente più gravi, l’unica cosa è rivolgersi a qualcun altro. No, dai, non al Papa, che pure lui, pare, ha altro da fare, ma al Presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Non ti piace? Va be’, turati il naso, come diceva quel tale, e appellati a lui. Per male che ti vada, ti risponderà «#staisereno, Severino».

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