Como: i danni
dei fiumi di parole

Fiumi di parole era una canzone con cui un duo musicale, i Jalisse, vinse un Festival di Sanremo. Della coppia poi si perse ogni traccia. Forse si sono buttati in politica. Perché l’abitudine di far scorrere fiumi di parole per poi darsi alla macchia al momento di trasformarle in fatti, lo sappiamo tutti, è la cifra di quasi tutti i nostri politici. Le eccezioni fanno notizia proprio per la loro rarità, dovrebbe accadere il contrario.

Pazienza se i vaniloqui si spargono sulla riduzione delle tasse. In questi giorni proprietari di casa e inquilini pagano la Tasi e molti anche la Tari con nelle orecchie le fresche frasi sciorinate ieri da Renzi sul taglio di 18 miliardi di tasse e nel ricordo dell’Imu che era stata abolita.

Ma quando c’è di mezzo la sicurezza, i fiumi di parole che scompaiano nelle cavità carsiche dell’inaffidabilità dei politici fanno danni.

Anche il Comasco comincia a leccarsi le ferite e a riflettere sulle giornate di maltempo che hanno reso il nostro territorio, per fortuna in piccolo e senza che ci sia scappato il morto, molto simile a quello genovese. Non fosse altro anche per quell’assurda vicenda burocratica dei venti milioni da utilizzare per gli interventi idrogeologici bloccati come i fondi che, se utilizzati, avrebbero forse reso meno drammatico l’effetto delle bombe d’acqua sul capoluogo ligure.

E allora perché scandalizzarsi? Se Como e Genova sono nella stessa situazione significa che non ci si trova davanti ad eccezioni. La burocrazia cieca e ottusa è uguale dappertutto e per tutti in Italia. La politica non sa o non vuole fermarla. E neppure può dire di non sapere. Qualche mese fa, Gisella Roncoroni, brava e tenace cronista del nostro quotidiano, che ha cuore le sorti della terra in cui è nata, vive e lavora, ha segnalato a vari leader di quasi tutti i partiti politici (compresi quelli che annunciano marce su Genova, o denunciano complotti giudoplutomassonici della natura contro la stabilità del Paese e delle istituzioni ), la faccenda dei fondi congelati in un territorio che, come dimostrano gli eventi dei giorni scorsi, ma anche altri che si sono verificati negli ultimi anni , ha un bisogno assoluto delle opere di prevenzione contro il diffuso dissesto idrogeologico. Ha ottenuto risposte? Una da parte della solerte segreteria di un politico molto attento perché la possibilità di catturare un elettore a costo zero si annida ovunque. Dagli altri solo un silenzio, come sempre in questi casi assordante. Tra chi non ha trovato tempo e modo di rispondere all’Sos lanciato dal Comasco c’è anche l’attuale presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Allora non ricopriva ancora questa carica. Ma era sempre, come adesso, il segretario del Pd, il partito di maggioranza relativa.

Anche lui è come gli altri? Capirai che notizia, direte. Certo, ma le parole che il premier ha pronunciato a proposito del disastro genovese, sottolineando che le richieste di intervento vanno inoltrate quando l’emergenza è lontana, sono suonate come una beffa davvero amara per Como. Perché è ciò che è stato fatto senza che lui si sia scomposto.

Il leader del governo può ancora riscattarsi. Si adoperi per far sì che questi 20 milioni possano essere spesi per il nostro territorio prima che, e non manca molto, siano dirottati altrove. Se succederà gliene daremo atto con piacere. A oggi però le cose stanno così, in attesa di un’altra ondata di maltempo, di altri danni, di altra paura, di altre polemiche.

Alcide De Gasperi uno statista autentico, amava dire che in politica bisogna sempre promettere meno di ciò che si può mantenere. E dire che tutti, Renzi compreso, si proclamano suoi eredi.

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