Como non sa
che il lago è una risorsa

In “Com’è profondo il mare”, canzone proto ecologista di Lucio Dalla, i pesci cominciano a pensare e perciò danno fastidio. C’è da credere che se il grande cantautore, ai tempi in cui incideva i dischi al Castello di Carimate, fosse venuto in gita a Como, avrebbe potuto con tranquillità dirottare la sua ispirazione dal mare al lago di Como. Dove forse davvero i pesci hanno cominciato a pensare che questo non è proprio il luogo ideale in cui passare la vita. I lavarelli in fuga con lo straniero danese che passa per consentire la festa di Laglio (e speriamo che Obama in arrivo a casa Clooney non ne voglia assaggiare uno) potrebbero essere solo l’avanguardia della rivoluzione. Perché il lago, come ha sottolineato Mauro Guerra da Tremezzina, ormai decano dei sindaci rivieraschi, non è solo una massa d’acqua, quella via di mezzo tra mare e fiume che Mussolini non amava quand’era confinato sul Garda, ma soprattutto un ecosistema. Forse noi comaschi non ce ne siamo mai accorti. Come, a quanto sembra, non ci rendiamo conto di quanto sia prezioso il nostro lago e come siamo fortunati ad avere quello che è stato più volte definito “il più bello del mondo”. Anziché accudirlo, coccolarlo, vezzeggiarlo e curarlo, lo trascuriamo. Anzi, peggio. Lasciamo che a occuparsene sia chi, in fondo non lo conosce se non per sentito dire e non l’ha mai visto negli occhi. Il massimo a cui siamo arrivati con il nostro lago è di imprigionarlo con le assurde paratie né prossime né venture. In fondo gli abbiamo detto che è un fastidio, una bestia antipatica a cui concedere solo guinzaglio e museruola.

Così, il lago più bello del mondo è stato degradato come un disertore a vasca da bagno, con il tappo manovrato lontano da Como e in funzione di altri beneficiari: le centrali elettriche a Nord, i campi coltivati a sud. Per carità, l’obiezione potrebbe anche essere accolta: magari di quella energia elettrica sprigionata dalle dighe valtellinesi così come dei cereali e vegetali raccolti nella Bassa padana beneficiamo anche noi comaschi. Però li paghiamo e senza sconti, che ci spetterebbero pure in quanto fornitori della materia prima: acqua qui vissuta come fastidio che si trasforma per magia in oro azzurro qualche decina o centinaia di chilometri più in là. Certo, se il nostro lago finisce qui e non ha un emissario che garantirebbe l’equilibrio del livello e un habitat migliore per le specie ittiche, la colpa non è dei signori che regolano il tappo della vasca, ma neppure nostra. Caso mai le responsabilità sono di chi da anni pretende di rappresentarci con dignità in Parlamento e in Regione e ha ignorato il problema perché in fondo muovere certe acque, non solo le nostre, non conviene più tanto a partiti così assetati di voti da aver necessità di abbeverarsi un po’ dappertutto, tanto si sa che noi comaschi siamo di bocca fin troppo buona. I costi di questa ignavia goffamente mascherata dietro ai soliti fieri proclami enunciati dentro vicoli ciechi, continuiamo a pagarli: acqua in piazza e in strada, pesci in attesa del camion dei traslochi, spiaggette turistiche che appaiono e scompaiono come miraggi nel deserto, sponde che si sbriciolano a guisa di frollini nel latte.

Non abbiamo rotto nulla eppure ci becchiamo tutti i cocci, come la materia di cui saremmo fatti se fossimo vasi. Sarebbe ora di cambiare il corso della corrente e di farci valere, di smettere di fare la parte del territorio risacca che alza onde destinate a infrangersi su rive ferrose come i vasi altrui. Il lago ennesimo emblema di una comunità bella, ricca e capace di molto fuorché di far la voce grossa e farsi valere. Il rischio, alla lunga, è quello di una città che va alla deriva nel suo lago lasciato nelle mani di altri che, nel giro di solo un paio mesi, l’hanno costretto a dimagrire come un fachiro salvo poi inciccire in modo bulimico. E si sa che questi sbalzi fanno male all’organismo. Perché il lago è una cosa viva: è un premio che qualcuno ha voluto assegnare a Como forse perchè conscio che poi sarebbero arrivati tanti bocconi amari. Cominciamo a pensarci anche noi, senza lasciare l’esclusiva del cogitare ai pesci.

@angelini_f

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