Como, scelte coraggiose
per il nuovo sindaco

Mario Landriscina e Maurizio Traglio sono due ottimi candidati. Persone serie, perbene, con un curriculum professionale di notevole valore. Il primo è un manager pubblico di lunghissima esperienza e aver governato con risultati evidenti quell’inferno che è la sanità pubblica (inferiore solo all’inferno che è l’editoria) testimonia grandi capacità di gestione. Il secondo è stato protagonista di plurimi successi imprenditoriali e averlo fatto in quell’inferno che è il mercato negli anni della crisi testimonia grandi capacità di visione.

Pubblico e privato. Gestione e visione. Manager e imprenditore. È una bella sfida, davvero all’altezza di una città piccola, ma di caratura internazionale grazie ad alcune eccellenze che l’hanno resa celebre in tutto il mondo. E quindi, con Landriscina oppure con Traglio sindaco, dovremmo dormire sonni tranquilli. Dovremmo. Ma non è così. Se i due sono del tutto nuovi al mondo della politica - e durante la campagna elettorale lo si è spesso notato, nel bene e nel male - i partiti, le culture, gli interessi, insomma, i “mondi” che li sostengono, non lo sono affatto. Non vengono da Marte. Magari. Sono invece ben immersi nella palude, nelle sabbie mobili, nella politiglia che hanno fatto implodere Como negli ultimi quindici anni. Sono loro. Sono sempre loro. E quindi sarebbe stravagante doversi fidare oggi di partiti e gruppi di interesse che promettono di risolvere i disastri che loro stessi hanno creato.

Landriscina, ad esempio, ha più volte ripetuto che deciderà lui, sceglierà lui, comanderà lui. E’ bene che lo dica, ma sarà un bene che poi lo faccia per davvero e fino in fondo. Il fatto che abbia chiuso la porta a tutti gli ex assessori della giunta Bruni, battaglia lanciata in perfetta solitudine - chissà come mai? - da questo giornale gli fa onore. Non si imbarcano gli amministratori che hanno approvato Ticosa e paratie. Non è credibile. Non si fa. Non esiste. Quindi, bravo Landriscina. Detto questo, però, visto che purtroppo non siamo nati ieri, si continuano a vedere, nelle retrovie, nelle salmerie, negli scantinati, nelle seste file dei gazebo o dei supporter o dei testimonial o degli influencer certi ceffi, certi mostri, certi personaggetti, certi quaquaraquà che tanfano di giunta Bruni lontano un miglio, certi profili lombrosiani perfettamente a tono con le baracconate, le buffonate dei fuochi d’artificio, degli eventi circensi con nani, ballerine e pupazzi assortiti, con il sacco della città, lo scandalo ignobile ignominioso delle paratie e della vergogna vergognosa della Ticosa. E che insinuano il sospetto che, alla fine, Landriscina possa essere il volto pulito che ovatta il riemergere del peggio del peggio del peggior centrodestra lariano di sempre. E che nulla ha a che vedere, sia chiaro, con l’esperienza innovativa e coraggiosa di quel galantuomo, di quel comasco eccezionale che fu Alberto Botta. Perché il centrodestra può essere una cosa seria anche in Italia e a Como, per quanto possa sembrare incredibile.

Il Pd no. Il Pd, quello che appoggia Traglio, o meglio, quello che dovrebbe appoggiare Traglio - così dicono loro, ma chi gli crede? – insomma, il Pd è una roba spassosa. Il Pd mette di buonumore. Appena uno si sente un po’ depresso e negativo e sente aleggiare su di sé la consapevolezza del fallimento, pensa per un attimo al Pd e torna tonico, venusto e proattivo. Il Pd comasco è formidabile per l’innalzamento della propria autostima, perché è la prova vivente che, comunque vada, c’è sempre qualcuno conciato peggio di te. Partito tafazziano per antonomasia, corte fiorentina specializzata nel pugnalare i propri leader, sull’onda della disperazione è stato costretto a mendicare una personalità che culturalmente niente ha a che vedere con la sua storia e poi, invece di segnarsi con il gomito per la grazia ricevuta, altrimenti non sarebbe manco arrivato al ballottaggio, si è messo subito a trescare e brigare e mestare e tramare contro il proprio candidato. Dalemini in sedicesimo. Ma la cosa imperdonabile è un’altra. Nel 2012 ha vinto per puro caso - o meglio, per plateale impresentabilità del centrodestra - le elezioni nella città più conservatrice del sistema solare e invece di fare qualsiasi cosa per bonificare lo scandalo che gli ha regalato la poltrona è riuscito nell’impresa napoleonica non solo di non risolverlo, ma addirittura di aggravarlo, con sciame giudiziario al seguito. Statisti. E anche qui, dietro l’alieno Traglio, si aggira un codazzo di sopracciò, di doppiomoralisti, di antropologicamente superiori, di censori, di burocrati forforosi, di carognette dell’oratorio, insomma, il concentrato della peggio pletora sinistrorsa che ci ha regalato altri cinque anni di immobilismo, che se non ci avesse pensato questo giornale a far esplodere il bubbone del muro sul lungolago, ce lo saremmo tenuto per altri trent’anni.

La faccenda è semplice. Il nuovo sindaco sarà un buon sindaco solo e soltanto se saprà tagliare con nettezza assoluta, totale, sanguinosa il cordone ombelicale con quelle persone e quegli interessi che hanno distrutto la città e che sono ancora lì, presenti e vivi, melliflui gattopardi lacustri, pronti a tutto cambiare perché nulla cambi. Ci vorranno scelte coraggiose, a partire dagli assessori e dagli altri incarichi di governo. E sappiano soprattutto, i due sindaci, che questa è l’ultima occasione per Como e che se andranno avanti con la politichetta delle chiacchiere e dei distintivi, la misura sarà davvero colma e il prossimo giro lo vincerà di sicuro quello che avrebbe meritato di andare al ballottaggio già quest’anno.

Alessandro Rapinese ha tanti difetti, anche caratteriali, ma è l’unico in questo consesso a poter dire di non essere colpevole di nulla e di avere una squadra ricca di cristallina passione civica. Sarà importante che i suoi elettori non vadano al mare, studino bene i candidati e votino il più credibile. E che poi gli presentino il conto - definitivo - tra cinque anni.

© RIPRODUZIONE RISERVATA