Riforma di sinistra?
Almeno è qualcosa

Certo, Renzi è un furbastro di tre cotte. Con questa invenzione della riforma del Senato si è guadagnato, comunque vada, le stimmate dell’anticasta.

Se la trasformazione di palazzo Madama passerà, il premier sarà consegnato alla storia come quello che ha tagliato in maniera appariscente i costi della politica. In caso contrario rovescerà il tavolo per andare alle urne rivendicando il tentativo abortito non per colpa sua. Del resto, come diceva Craxi, non a caso rievocato più volte da quando Matteo ha preso possesso di palazzo Chigi, per fare la frittata occorre rompere le uova. E, si potrebbe aggiungere “a brigante, brigante e mezzo”.

Cioè se vuoi frenare la crescita di Grillo non puoi che scendere sul suo terreno e combattere la cattiva politica, anche con l’utilizzo di un pizzico di antipolitica. Per tirare in ballo Celentano, devi essere rock. La sinistra tradizionale o radicale o radical chic che dir si voglia, appare invece sempre la stessa: lenta. Di una lentezza che dura da trent’anni e che l’ha portata dal campo dell’innovazione a quello di un conservatorismo becero e polveroso. Dire no al pensionamento del Senato in nome di una difesa dell’ordinamento Costituzionale è una battaglia di straretroguardia, di altri tempi, non più proponibile in una realtà politica e sociale che sarà anche cambiata in peggio, ma è cambiata. Significa lavorare per il re di Prussia, portare acqua al mulino di chi pensa che tutta la politica sia da rottamare.

Il presidente del Consiglio che pure sulla rottamazione ha costruito una fortuna mediatica, sembra invece intenzionato a distinguere il grano dal loglio. A fare un’operazione di pulizia che sarà anche di facciata ma è sempre qualcosa di più dei tanti “niet” ripetuti come un riflesso condizionato. L’idea di infrangere il bicameralismo troppo perfetto dell’Italia, figlio di un progetto costituzionale straordinario ma nato in un paese che usciva da vent’anni di dittatura e perciò necessitava di un rafforzamento del Parlamento a scapito del potere esecutivo.

Negare la riforma significa ammettere che in Italia, dopo quasi settant’anni, non si sono ancora formati gli anticorpi della democrazia. Oppure coltivare la politica del tanto peggio tanto meglio. D’altra parte, qualunque Costituzione, anche la più perfetta, non può essere lungimirante in eterno.

Tra la sinistra rugginosa e lenta e il premier furbastro e rock tocca scegliere il meno peggio. Caso mai poi si misurerà Renzi sui risultati concreti. Quei risultati che, l’esperienza ce lo dice, i suoi detrattori non hanno mai portato a casa. Nanni Moretti, che di questa sinistra parolaia e inconcludente, peraltro ben conosciuta dal regista (sulla terrazza ci sta bello comodo pure lui), ci ha offerto memorabili e dissacratorie sequenze, disse (e quella volta era serio) che con certi dirigenti non si sarebbe mai vinto. E aveva ragione. La riforma del Senato non sarà qualcosa di sinistra ma almeno è qualcosa.

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