Smog il consenso
conta più della salute

Alla fine aveva ragione il compianto Pino Daniele. La canzone “aspetta che chiove” (aspetta che piove) sembra essere stata scritta per raccontare la lotta allo smog a Como e in tanti altri comuni del Nord Italia da parecchi giorni in una situazione di emergenza che però, anziché essere urlata come si dovrebbe è appena appena sussurrata. Almeno dai politici. Perché gli altri, i medici e gli uomini di scienza che conoscono il pericolo delle polveri sottili per il nostro organismo, continuano a segnalarlo, quasi completamente inascoltati. Per capire che l’aria di Como è in condizioni indecenti e pericolose, peraltro, non servono neppure le centraline. Basta fare due passi a ridosso del centro cittadino e aprire le narici per sentire un odore acre e sgradevole di fumi stantii. Un’esperienza, quella della passeggiata, che gli esperti sconsigliano agli anziani, quelli rimasti in salute e non finiti nei pronto soccorso (costretti al super lavoro) per problemi ai bronchi e ai polmoni che il micidiale mix di inquinamento e polveri sottili di certo non attenua. E queste sono solo le ricadute a breve scadenza. Con il passare del tempo, l’abitudine a respirare robaccia può avere conseguenze ben peggiori.

Ci sarebbe da preoccuparsi e agire. Non oggi o meglio non solo oggi. Ma parecchi anni fa, quando il fenomeno è esploso ed è stato chiaramente percepito. Qualcosa è stato fatto, ma si è trattato di interventi decisivi se siamo qui ancora ad avere a che fare con queste situazioni ogni qual volta Giove Pluvio si dimentica per qualche settimana dei nostri territori. E comunque appare paradossale che nel 2017, il rimedio più efficace per l’inquinamento sia la pioggia. Sembra di stare nel medioevo. Per carità la questione è complessa, tira in ballo una serie di fattori tra cui quello energetico perché riscaldamenti e soprattutto autoveicoli si sono evoluti ben poco e in ogni caso non abbastanza sotto l’aspetto dei combustibili inquinanti.

Ma questo è un problema non solo comasco, non solo lombardo, non solo italiano. All’estero però, come sempre, appaiono più efficaci di noi. In Svizzera, tanto per cambiare, si sono mossi appena il livello di guardia e stato raggiunto con una misura impopolare: diminuire la velocità dei mezzi a motore inquinanti e offrendo alternative gratuite di trasporto pubblico. Sì perché anche indurre le persone a rinunciare all’auto e a salire su un bus o su un treno (che viaggia in orario ed è confortevole) non ti rende molto simpatico.

L’impressione, dalle nostre parti, è che la politica sacrifichi la tutela della salute sull’altare del consenso elettorale. Peraltro fermare le auto per un giorno, o cercare di far sì che nelle case e negli uffici vi sia qualche grado in meno, non è mica detto che sia risolutivo. È sicuro invece che rischia di farti perdere i voti da parte degli elettori infreddoliti e appiedati. E allora andiamo avanti così. Applichiamo i protocolli forse non del tutto adeguati alle nuove emergenze smog, ma di certo innocui per la politica. Anche perché chi controlla che i diesel antiquati non vadano in giro? Basta vedere le contravvenzioni elevate nei giorni in cui sono in vigore i blocchi. Figuriamoci le temperature? Qualcuno va in giro con il termometro a controllare. Se poi, come a Como, le misure scattano proprio quando si aprono le cateratte del cielo, viene da sorridere con amarezza. Le responsabilità non sono tutte degli amministratori, che pure avrebbero anche la possibilità di agire in deroga alle pandette. Ci sono a tutti i livelli. Anche a quelli dove siede o sedeva chi ha cassato il secondo lotto della tangenziale di Como, che avrebbe abbattuto il traffico di attraversamento della città e lo smog, perché troppo costoso. Da noi, infatti, lo smog è anche una beffa, in quanto prodotto da auto non comasche e che da queste parti farebbero volentieri a meno di transitare. E comunque la salute dei cittadini non ha prezzo. Tantomeno quello di una manciata di voti.

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