

In politica la leadership non si ricevono, ma si conquistano sfidando e battendo chi le detiene. E questo può avvenire in maniera non palese. E forse è successo proprio giovedì scorso in Senato, a margine, ma non troppo dell’elezione di Ignazio La Russa alla presidenza di palazzo Madama senza i voti di Forza Italia e con il soccorso, determinante, di una parte dell’opposizione.
Una sconfitta politica pesante, forse definitiva, per Silvio Berlusconi che, con ogni probabilità, è stata opera del suo vero erede alla guida non degli azzurri, ma una forza moderata più o meno di centro: Matteo Renzi. Dove hanno fallito i vari Gianfranco Fini, Roberto Formigoni, Pierfurby Casini, Angelino Alfano (chi era costui?), potrebbe riuscire l’ex di tante cariche: dalla presidenza del Consiglio alla segreteria del Pd. Renzi, si sa, suscita la medesima simpatia del granchio che ti si infila negli slip in spiaggia, ma come qualità politiche è una spanna sopra tutti. Anche quando è rimasto con un pugno di voti e di parlamentari dopo l’uscita dai Dem è comunque riuscito a fare e disfare governi, come ha voluto ricordare, a mo’ di viatico, anche a Giorgia Meloni.
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