Charlie Kirk tradito
proprio da chi lo difende

Nei primi anni del nuovo millennio David Letterman, mitologico conduttore del “Late Night Show” sulla Cbs, aveva messo nel mirino, con ferocia spassosissima e implacabile, il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush.

In verità, tutti gli inquilini della Casa Bianca sono stati spernacchiati da Letterman, da Clinton a Obama, ma obiettivamente, trattandosi di uno dei più brillanti esponenti dell’intellighenzia liberal newyorkese, è ovvio che i suoi veri obiettivi, quelli più spontanei e naturali, fossero i presidenti del partito repubblicano. E in quegli anni, quelli della sciagurata invasione dell’Afghanistan e dell’ancor più sciagurata invasione bis dell’Iraq, tali e tante ne ha dette a Bush junior e con tale talento comico che ogni sera c’era da ammazzarsi dalle risate: non passava giorno che non trovasse uno spunto per dileggiare il malcapitato George W. Bush, mettendolo a impietoso confronto con la statura di tutt’altro livello del padre, vicepresidente con Reagan e poi presidente a sua volta.

Una tale irrisione familiare che ha spinto una sera Letterman a fare la seguente, irresistibile, battuta: “Ieri è morto il Re d’Arabia Abdullah. Ora il potere passerà nelle mani di suo figlio, quell’imbecille di Abdullah W. Abdullah”. Tutto vero. Lo ha detto in diretta davvero. Letterman ha dato dell’imbecille all’uomo più potente del mondo. Ora, al netto che la facezia era talmente feroce da far sganasciare per ore e, ripensandoci, fa ridere ancora oggi a vent’anni di distanza, il pensiero del tipico italiano medio è stato “adesso gli chiudono il programma, lo incriminano per vilipendio e magari lo arrestano pure: questo fa la fine di Guareschi”. Bene, non è successo niente. Né quel giorno né dopo né mai. La grandezza della democrazia americana. La potenza liberale e libertaria del primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti e, per fortuna, a cascata, anche dell’articolo 21 della nostra Costituzione. Forse il suo articolo più importante.

Il tema, come ovvio, è di grande attualità, dopo l’assassinio ignobile e scioccante dell’attivista trumpiano Charlie Kirk. Un classico omicidio politico americano, visto che la storia di quel paese, il paese più violento dell’Occidente e uno dei più violenti del mondo - non è un giudizio, è una constatazione statistico-antropologica - ne è piena. Un omicidio che però avrebbe potuto essere “utile”, fare da monito, rappresentare una lezione su quanto sia importante, anzi, fondamentale, accettare e difendere la sacralità delle idee, quali che siano, e la libertà di poterle esprimere in qualunque modo. Tutti possono pensare quello che vogliono e dire quello che vogliono, salvo che si diffami o si istighi qualcuno a delinquere. Che bello se questa tragedia si fosse tramutata, una volta tanto, in una sana ed etica pedagogia civica.

E invece niente. La dimensione tragica non regge mai troppo a lungo negli esseri umani, perché prima o poi trascolora nel ridicolo e anche più spesso nel grottesco. E quindi la morte di Kirk, che era il paladino più efficace e sincero del “free speech”, della libertà assoluta e totale dell’espressione delle proprie idee, sta diventando negli Stati Uniti il pretesto per censurare altri paladini del “free speech” che dicono quello che vogliono sulla morte di Kirk. Da qui il licenziamento, da parte di una servilissima Abc, del celebre presentatore Jimmy Kimmel, reo di un monologo molto critico nei confronti di Trump e sull’utilizzo dell’assassinio dell’attivista come strumento contro la libertà di parola di chi non la pensa come lui. Un paradosso ridicolo, ma anche pericoloso, nel quale Trump ha davvero toccato il fondo, facendo l’esatto contrario di quello che pensava e predicava Kirk. Cornuto e ammazzato.

Ma anche nel paese dello zafferano, zitti zitti, non è che si sia da meno. Qualche giorno fa un docente universitario ebreo israeliano teneva un corso sulle tecnologie digitali al Politecnico di Torino e il consueto gruppo di Pro Pal indignati in servizio permanente effettivo – tipica maschera del sottobosco universitario italiano - ha pensato bene di interromperne la lezione accusandolo di essere complice del genocidio. Dei geni. Degli scienziati. Dei Pulitzer. E dei perfetti democratici, soprattutto. E quando il prof ha ribadito di non essere colpevole di nulla e di aver servito con orgoglio nell’Idf, “l’esercito più pulito che ci sia”, il rettore - altro genio, altro scienziato, altro Pulitzer – lo ha cacciato per quella frase e ne ha sospeso il corso.

E siamo di nuovo al caso Kirk. Forse che il professore ebreo non ha diritto a esprimere le proprie idee, quali che siano? Forse lo decide il rettore cosa deve pensare? O, meglio ancora, lo decidono gli attivisti geni di cui sopra? E l’articolo 21 di cui ci si riempie la bocca? E l’articolo 33, che recita che “l’arte e la scienza sono liberi e libero ne è l’insegnamento”? Ma dove siamo? In Bolivia? In Bulgaria? E vogliamo parlare dell’altro docente universitario a Pisa, che ha criticato il proprio ateneo per aver bloccato la collaborazione con due università israeliane con il risultato che i volenterosi attivisti democratici lo hanno mandato all’ospedale? E allo stesso modo sbaglierebbe chi impedisse ai molteplici attivisti geni di esprimere - senza menare - le loro idee disbiotiche e un filino antisemite, per quanto queste facciano vomitare. Le idee non si toccano, vomito o meno.

La verità è che la libertà è un concetto troppo alto, troppo colto, troppo nobile, troppo ambizioso. E’ troppo per noi, patetici esseri striscianti, prede delle passioni e delle pulsioni. Non ce la facciamo a essere così saggi da accettare il diverso da noi, il contrario di noi, perché ci viene subito voglia di zittirlo, di schiacciarlo, di eliminarlo. La libertà assoluta e perfetta non è roba per gli uomini. Trump e quelli come lui, a est e a ovest, sono solo il segno che la democrazia liberale ha fatto il suo tempo. E che forse non è mai neppure esistita.

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@DiegoMinonzio

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