Como: il paradosso
della corsa a sindaco

Ebbene sì, nessuno vuole fare il sindaco di Como. O meglio chi lo vuol fare non è gradito da buona parte di coloro che dovrebbero sostenerlo. È il clamoroso cortocircuito della politica comasca che, dopo anni di delega a candidati “civici” come sono Mario Landriscina, Maurizio Traglio e lo stesso Alessandro Rapinese (gli ultimi due, al limite, possono essere etichettati come “amministrativi” alla luce della proficua esperienza in opposizione in consiglio comunale), non riesce a riprendersi il primato. “Civici” erano anche il predecessore dell’attuale sindaco Mario Lucini, così come la sua sfidante sconfitta al ballottaggio: Laura Bordoli. Tutta gente non proveniente dal mondo della politica e che faceva un altro mestiere. In fondo anche la prima sfida comasca con le regole dell’elezione diretta del sindaco fu tra due valenti professionisti, ma non della politica: il compianto Alberto Botta, commercialista e presidente del Coni e l’imprenditore Moritz Mantero.

Tutto questo per dire che forse, come ha sostenuto Alessandro Sallusti comasco e attuale direttore di Libero dopo aver guidato anche il vostro quotidiano, in una brillante intervista rilasciata nei giorni scorsi a Michele Sada, i partiti locali sono venuti meno al loro ruolo che è anche quello di selezionare e preparare la classe dirigente dell’amministrazione cittadina.

Certo, da qui potrebbe partire un lungo e articolato discorso su come sono cambiati i partiti negli ultimi decenni. Non ha torto chi sostiene che, ormai, sono perlopiù comitati elettorali. Ma proprio per questo dovrebbero essere in grado di costruire candidati.

La verità è che a contare sono solo i leader. Molti sostengono a ragione, che se al posto di Enrico Michetti a Roma il centrodestra avesse lanciato Giorgia Meloni, adesso non ci sarebbe Roberto Gualtieri al Campidoglio. E forse sarebbe potuto cambiare anche il destino di Milano con Matteo Salvini al posto di Luca Bernardo. Quantomeno ci sarebbe stato il ballottaggio con Beppe Sala.

A Como, dove i leader locali dei partiti non godono di una grande fama, forse solo Alessandro Fermi, fresco transfugo da Forza Italia alla Lega, avrebbe il “phisique du rôle” per rappresentare una buona carta nel campo del centrodestra. Ma non avendo seguiti corsi di addestramento da kamikaze preferisce restare nel più comodo ambito della Regione Lombardia. Perché, anche in questo ha ragione Sallusti, fare il sindaco, ovviamente in maniera onesta, comporta molti più oneri che onori. Ed è vero che nell’emergenza Covid che ha segnato l’ultimo anno e mezzo, i primi cittadini hanno potuto toccare pochissime palle, schiacciati da governo e Regione. Si potrebbe aggiungere che molti non sono stati in grado di mettere in campo una programmazione per ridisegnare gli ambiti cittadini in funzione delle nuove esigenze poste dalla pandemia. Basterà l’ipotesi, contenuta nella manovra in discussione, di un aumento degli stipendi ad oggi del tutto inadeguati rispetto alle responsabilità, per spronare qualcuno? Per tornare allo stato dell’arte in riva al lago, quando il voto è ormai alle porte è reale la situazione di caos nella politica locale. Chi vuole fare il sindaco, Landriscina prima di tutti e forse Traglio dall’altra parte, si trova di fronte ai veti di alcune delle forze che dovrebbero sostenerlo. Coloro che sono invece oggetti di desiderio, come Fermi di cui si è già detto, ma anche Paolo De Santis e Vittorio Nessi, si sottraggono ad inviti che stanno quasi prendendo la forma di suppliche. Anche nel “ridotto” di Alessandro Rapinese, che spera di raccogliere le nespole senza neppure scuotere la pianta, qualcosa di è incrinato con l’addio non indolore del consigliere Paolo Martinelli che segue quello di Ada Mantovani. Con la differenza che, nel primo caso, la rottura è stata politica, sul dormitorio pubblico, questa volta il “divorzio” si è consumato sul piano personale. Il che potrebbe non giovare alla corsa del vulcanico immobiliarista.

Insomma per ora regna la confusione. E non è un bene, comunque la pensi e qualunque sia l’orientamento politico, per una città che più che mai, dopo questi cinque anni considerati deludenti anche da una buona parte degli elettori e degli estimatori di Landriscina (lo rivela anche Sallusti non ceto sospettabile di sbandate a sinistra), la città avrebbe bisogna di una guida autorevole, capace e con un robusto bagaglio di relazioni che contano per poter gestire lo sviluppo turistico senza perdere la propria identità. Ecco, forse se si partisse dall’identikit e si rinunciasse e preclusioni di principio evitando di appiccicare etichette strumentali e posticce a questo o a quel personaggio, si potrebbe trovare la quadra.

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