Como, la destra e il voto per il sindaco

Per il Comune di Como, a conti fatti, esistono due tipi di elezioni: quelle che il centrodestra locale vince e le (rare) in cui fa di tutto per perdere. Il destino di Palazzo Cernezzi appare legato a uno schieramento che intercetta le preferenze della maggioranza dei comaschi. Dal 1994, anno dell’introduzione dell’elezione diretta del sindaco, Como ha scelto quasi sempre candidati della coalizione di centrodestra (Forza Italia, Fratelli d’Italia — già MSI e AN — e Lega), con quest’ultima talvolta fuori dai giochi. Solo in due occasioni è andata diversamente: nel 2012 con la vittoria di Mario Lucini (centrosinistra) e nel 2022, quando si è affermato l’attuale primo cittadino Alessandro Rapinese, espressione della lista civica che porta il suo nome. In entrambi i casi, però, il risultato è stato determinato anche dall’azione, o dall’inerzia, del centrodestra. Lucini è arrivato dopo due mandati di Stefano Bruni (il secondo, disastroso) e si era trovatodi fronte uno schieramento avversario diviso dopo le primarie per la scelta del candidato, che avevano visto prevalere Laura Bordoli su Sergio Gaddi.

Ancora più evidente fu l’errore del centrodestra nell’elezione di Rapinese. Se la coalizione avesse accolto le richieste di Vincenzo Graziani, ex comandante dei vigili candidatosi con una propria lista, avrebbe probabilmente raccolto i consensi necessari a superare Rapinese al primo turno, escludendolo dal poi vittorioso ballottaggio contro Barbara Minghetti. Anche il candidato scelto dal centrodestra, il pur stimato medico Giordano Molteni, aveva suscitato più di una perplessità. Chissà se gli esponenti locali della coalizione che governa l’Italia hanno fatto questa riflessione al convegno organizzato la scorsa settimana da FdI, in cui è stata annunciata la volontà di riprendersi il governo della città nel voto del 2027. Impresa tutt’altro che impossibile, se sarà presentato un candidato forte e credibile e se verrà preservata l’unità dell’alleanza. È noto che molti dei voti raccolti da Rapinese al secondo turno del 2022 erano in “libera uscita” dal centrodestra e, di fronte a una proposta autorevole, potrebbero rientrare. Ma proprio sulla scelta del candidato sembrano concentrarsi i maggiori problemi, legati anche a personalismi. Chiarito che Sergio Gaddi, tra i pochi con la physique du rôle politica per imporsi (anche se le ferite delle primarie sopra citate sono tutt’altro che guarite), ha altri progetti per il prossimo futuro, restano in campo il leghista Alessandro Fermi, il coordinatore provinciale di FdI Stefano Molinari e quello cittadino Alessandro Nardone. Figure che, al contrario di Gaddi e Fermi, avrebbero il pregio di fare poca ombra ad altri esponenti autorevoli della compagine; ma, per la stessa ragione, forse mancano dell’appeal adeguato.

Peraltro, Alessio Butti, sottosegretario e dominus locale del centrodestra, ha lasciato intendere che i mutati rapporti di forza all’interno dell’alleanza faranno saltare lo schema di distribuzione dei candidati di Como, Erba e Cantù tra i tre partiti. Parole che si possono leggere come la volontà di FdI di prendersi Erba e Cantù, lasciando il capoluogo a un leghista o a un forzista. Anche gli accadimenti nelle attuali amministrazioni della città del mobile e dell’Alta Brianza vanno in questa direzione. In campo per Como c’è anche l’opzione donna: un profilo che rimanda all’attuale ministra leghista per le Disabilità Alessandra Locatelli (già vicesindaca con Mario Landriscina), ma non è l’unica ipotesi.

Certo, c’è ancora tempo per dare il via ufficiale alla corsa a Palazzo Cernezzi. Ma una certezza c’è: Rapinese punta al secondo mandato e venderà carissima la sua pelle. Arrivare in affanno, all’ultimo momento, con lo sfidante non sarebbe un buon viatico. Qualche lettore noterà che in questo articolo non è stato citato un altro attore della partita: il centrosinistra, che però — stando così le cose — rischia, al prossimo giro, di non toccare palla.

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