Due giovani vite perse
e il paradosso della fede

Secondo un’antichissima tradizione cabalistica, il mondo attuale sarebbe il risultato del ventottesimo tentativo di Dio di creare l’universo. E sembra che lo stesso Dio, contemplando la sua ultima invenzione, abbia mormorato avvilito “speriamo che tenga”, perché dubitava fortemente della sua stabilità.

Ora, solo la cultura suprema del popolo eletto poteva elaborare all’interno della Cabala - la dottrina ebraica che interpreta simbolicamente il senso più intimo e segreto della Bibbia - una metafora così arguta, spiritosa e, al contempo, così drammatica. Ma non è un caso. Solo in questo modo, intessendo tragedia e sorriso, si può sopravvivere a tremila anni di persecuzioni e massacri. E’ un modo di vedere le cose, di affrontare la realtà, un’interpretazione del mondo che si è dipanata lungo i secoli e più si intensificavano le angherie e le vessazioni più questo antidoto diventava profondo ed efficace. Un senso tragicamente ironico dell’esistenza che arriva fino ai giorni nostri - non c’è nessuno che “scherzi” sulla Shoah più degli ebrei, l’ebreo “che ride” è un topos della nostra cultura – e che pervade tutta la letteratura yiddish, basti pensare ai capolavori dei fratelli Singer, ma anche la grande comicità, dai fratelli Marx a Woody Allen nei suoi film più riusciti fino a Moni Ovadia, che proprio al tema “Speriamo che tenga” ha dedicato una fortunata autobiografia.

E’ tutto un paradosso, naturalmente - i lettori intelligenti lo hanno di certo capito - questo della debolezza di Dio, dell’impotenza di Dio, che continua a creare mondi e universi ed esseri umani e tutte le volte gli va male perché non riesce a gestire l’anarchia a cui proprio Lui vorrebbe dare un ordine. Ma è un paradosso che forse aiuta a vivere. Soprattutto quando accadono cose terribili, cose insopportabili, cose inaccettabili.

La morte delle due giovani lecchesi, Giorgia e Milena, travolte e uccise da un furgone giusto una settimana fa mentre andavano a una festa di paese a Brivio, è una di queste. Ce ne sono altre centinaia, anzi, migliaia, nel vasto mondo, di tragedie come questa. Ma questa è la nostra. Perché ci è accaduta sotto casa e perché loro potevano essere le nostre figlie o le nostri nipoti. E ora, a funerali avvenuti - partecipare alle esequie di un ventenne è una delle esperienze più devastanti che si possano vivere - le strade che restano a noi poveri uomini impotenti sono solo due.

La prima: Dio non esiste. Nel mondo non c’è un senso, una logica, un destino, un ordine. Esiste solo il caos. Anzi, è proprio il caos l’unico ordine del mondo. Nasci, vivi, muori senza sapere il perché. Se quelle due ragazze fossero uscite di casa un secondo prima, o dopo, il furgone non le avrebbe travolte e ora sarebbero ancora vive. Ma sono uscite proprio in quel momento. E sono morte. Casualmente. Qui siamo in un vicolo cieco, materialistico, meccanicistico, leopardiano. Non c’è niente. Né prima né dopo. Né risarcimento né redenzione. Niente. Punto e basta. E’ dura la vita dell’ateo, e senza via di scampo, se non quella della disperazione. Quanto bisogna essere coraggiosi per dichiararsi atei.

La seconda: Dio esiste. E qui forse, anche se sembra assurdo, è ancora più dura. Se Lui c’è, come ha potuto permettere una cosa del genere, perché “ha deciso” che quelle due ragazze dovessero morire e la terza amica, a pochi centimetri, invece no? Come la racconti questa cosa ai poveri genitori annichiliti? Perché devono sostenere questa prova? Perché? Perché proprio loro? Tornando alla storia ebraica, come ha potuto Dio permettere l’Olocausto? Come ha potuto? E come può permettere i piccoli olocausti che hanno segnato, segnano e segneranno anche in futuro il nostro pianeta? Un gigante come Dostoevskij ha imperniato tutte le sue opere straordinarie e inarrivabili su un’unica domanda: “Perché esiste il Male?”. Domanda alla quale non è riuscito a dare una risposta, naturalmente. E’ un Dio nascosto, dicono. Un Dio silenzioso. Proprio come quello del “Decalogo” di Kieslowski: in tutti i dieci episodi appare per pochi secondi un giovane biondo (è l’angelo di Dio): non parla, non interviene, non modifica il corso degli eventi, non ferma i malvagi. Non fa nulla. Osserva silenzioso la tragedia dell’esistenza: il bimbo che affoga nel laghetto, il taxista strangolato senza motivo dal balordo. Perché? Perché non fa mai niente? E’ dura la vita del credente, altroché. Quanto bisogna essere coraggiosi per dichiararsi credenti.

E quindi, in momenti come questi, forse può aiutare il paradosso profondissimo di quelli che Papa Wojtyla chiamava “i nostri fratelli maggiori”. Forse hanno ragione loro, perché da una sofferenza millenaria non può che nascere una saggezza infinita. E quindi Dio esiste. Esiste di certo. Ma è fragile e fallace, come un uomo. Lui ci prova tutte le volte a creare un universo perfetto, nel quale trionfino verità e giustizia, felicità e benessere. Ma tutte le volte gli va male. Ci ha già provato ventotto volte a plasmare il cosmo, però c’è sempre qualcosa che non funziona. E quella volta che si era talmente disgustato per le infamie degli uomini dal decidere di spazzarli via tutti con il diluvio universale, dopo pochi minuti aveva capito che non sarebbe servito a nulla: loro avrebbero ripreso a peccare e tradire esattamente come prima. Quanto onusto dolore si sparge sui sentieri della terra e quanta ingiustizia e quanto sangue. E Lui non ce la fa a fermare il meccanismo infernale che ha messo in moto.

E quindi, cosa possiamo chiedere al buon Dio, che ci ha fatto morire sotto gli occhi in una sera di festa Giorgia e Milena? Non possiamo certo chiedergli di salvare loro la vita. E’ troppo tardi, ormai. Non possiamo chiedergli di salvarle, ma possiamo chiedergli di amarle. E sicuramente è così, i poveri genitori ne siano certi, ora loro sono al suo fianco, loro e tutte le altre infinite vittime innocenti dell’esistenza. E Lui le terrà strette accanto a sé, fino a quando il sole risplenderà sulle sciagure umane.

© RIPRODUZIONE RISERVATA