Effetto fisarmonica
sul voto per il Colle

Quando Gianni Morandi, negli anni ’60 cantava “La Fisarmonica”, la figura del presidente della Repubblica non era importante come adesso.

Tra lui e il capo del governo contava molto di più il secondo perché alle spalle aveva i partiti che elaboravano le strategie politiche e di potere. L’inquilino del Colle si limitava al ruolo notarile che, a grandi linee, la Costituzione gli assegna. Tanto per uscire dall’astratto, quando Giovanni Leone era capo dello Stato e Giulio Andreotti presidente del Consiglio, il secondo “pesava” più del primo in campo nazionale e, soprattutto, internazionale. E’ stato così più o meno fino alla fine di quella che si chiama in maniera non corretta “Prima Repubblica” che invece dovrebbe essere ribattezzata “Repubblica dei partiti”. Certo, Sandro Pertini esternava, Francesco Cossiga picconava, Oscar Luigi Scalfaro, il traghettatore tra i due cicli istituzionali lanciava moniti a getto continuo. Ma gli effetti concreti erano scarsi, finché almeno ha tenuto il sistema dei partiti. Poi è entrata in gioco la fisarmonica, azzeccata metafora di Giuliano Amato, riserva della Repubblica che forse neppure in questa partita diventerà titolare.

Lo strumento che un tempo si suonava ai matrimoni e alle feste popolari, è nelle mani del capo dello Stato. Se i partiti sono forti, rimane ripiegato e il suo suono si sente poco o nulla. Ma nella situazione contraria, il mantice si estende ed è impossibile non ascoltare le note. La fisarmonica l’hanno suonata parecchio gli ultimi due presidenti della Repubblica, Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella. L’hanno dovuta imbracciare quando nei momenti di grande crisi del Paese, i partiti non riuscivano a trovare una soluzione. In particolare è accaduto nel 2011, quando, con l’Italia sull’orlo del fallimento economico, l’ex esponente della corrente migliorista del Pci sostituì il premier espressione del voto popolare, Slivio Berlusconi con il tecnico Mario Monti. La stessa cosa ha fatto l’attuale capo dello Stato lo scorso anno, in piena pandemia e con il governo Conte 2 in crisi. I partiti non erano riusciti a combinare nulla, ribadendo la loro debolezza e il presidente aveva risolto la questione con la chiamata di Draghi a palazzo Chigi. Proprio quest’ultimo, in quanto non espressione di una forza politica è l’eccezione che conferma la regola della cronica debolezza dei più recenti presidenti del Consiglio “partitici”. Del resto, da anni i partiti intesi in senso tradizionale non esistono più. Si sono trasformati in comitati elettorali permanenti che orientano le proprie scelte sulla base dei sondaggi settimanali. Quando il gioco si fa duro, occorre che si faccia sentire la fisarmonica, portata alla sua massima espressione. Ecco perché l’elezione del capo dello Stato è diventata più pesante negli ultimi due decenni. Alla persona scelta, grazie all’elasticità della nostra Costituzione, si consegna un potere più rilevante di quelli elencati nella Carta.

Il cane si morde la coda. Perché il capo dello Stato è scelto (quella del prossimo anni sarà l’ultima volta con questi numeri) da circa un migliaio di grandi elettori tra deputati, senatori e rappresentanti regionali, che sono espressione di un sistema politico in forte crisi. Lo si è visto anche nelle precedenti elezioni, in cui coloro che entravano in questo conclave laico già con il biglietto per il Quirinale in tasca ne uscivano da cardinali. Per carità, accadeva anche in passato. Memorabile la scena, rievocata nel recente saggio di Marco Damilano, “Il Presidente” in cui Amintore Fanfani, potentissimo esponente della Dc di statura non elevata, favorito per il Quirinale intravede, in veste di presidente del Senato, la scheda dichiarata nulla durante lo spoglio dal suo collega Giovanni Gronchi, leader della Camera con la rima “Nano maledetto/Mai sarai eletto” (Il traguardo del Colle sarà sempre precluso a Fanfani). Ma sarebbero tanti gli aneddoti collegati a quella grande insalatiera che raccoglie i voti espressi nel segreto (a volte un po’ meno) per la scelta del nuovo capo dello Stato. E se questo accadeva nel passato, quando quello del presidente era un ruolo di rappresentanza e la fisarmonica restava muta o lavorava in sordina, figuriamoci adesso.

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