Elezioni perché
il non voto ha un senso

E ridagli. A ogni elezione la percentuale degli astenuti aumenta. Tutte le forze politiche, vincitori e vinti, stracciano un’intera tintoria di abiti, poi avanti come prima fino al voto successivo. In realtà è il caso di rassegnarsi al fatto che il nostro modello di democrazia, quello nato con la Repubblica dopo vent’anni di fascismo che aveva abolito le consultazioni popolari, è ormai invecchiato. Quando gli italiani hanno potuto riprendere in mano una scheda elettorale la voglia di farlo era, com’è ovvio, ampia. A votare si andava lungo il confortevole binario delle ideologie e dell’appartenenza. Pensate alle donne che, in Italia, nel 1946 avevano acquisito per la prima volta dai tempi di Eva, il diritto a frequentare urne e cabine. L’abitudine è rimasta consolidata sino alla cosiddetta fine della Prima Repubblica che, in realtà, è stato il termine della vita dei partiti che avevano dato vita alla Costituzione, sepolti sotto le macerie del Muro di Berlino e le risme dei provvedimenti giudiziari di Tangentopoli.

Con il voto ideologico era più facile per gli elettori sentirsi rappresentati. Tant’è che le percentuali dei partiti non variavano mai più di tanto: un aumento del 3-4% era considerato un grande successo, un calo simile metteva a repentaglio le poltrone dei segretari. Poi le cose sono cambiate: il voto è diventato liquido e più mobile della donna del Rigoletto. Sono nate forze politiche post ideologiche premiate per l’offerta e la capacità di leadership e non per il pensiero guida che c’è alle spalle. Per alcuni partiti è stato facile compiere balzi vertiginosi di voti da un’elezione all’altra. Pensate al Pd di Renzi o alla Lega di Salvini, ma anche, in senso contrario a Forza Italia e al Movimento Cinque Stelle.

Nelle ultime elezioni, una quota importante di elettorato è volata come una farfalla con i fiori, di partito in partito, cercando un approdo che non ha mai trovato. È un elettorato interclassista, di pancia, ma anche di testa, sempre deluso dalle esperienze precedenti e nell’attesa di un Godot che possa mettere a posto le cose. Una parte rilevante di queste persone, alle politiche del 2018, aveva privilegiato il movimento fondato da Beppe Grillo e Roberto Casaleggio che poi ha progressivamente abbandonato per piantare le tende soprattutto della parti di Matteo Salvini prima e Giorgia Meloni, dopo. Ecco, ora una buona parte di questo blocco sociale la tenda l’ha lasciata nel fodero. La causa sta certo nelle candidature di profilo non elevato che il centrodestra ha saputo esprimere nelle grandi città. Non a caso l’unica vittoria rilevante è stata quella di Trieste con Roberto Dipiazza imprenditore stimato dagli abitanti di quella città.

Ma è innegabile che anche la proposta politica di Lega e Fdi, al netto degli scandali apparsi sull’uscio dell’urna, sia apparsa poco convincente. Del resto, i numeri non sono muti. Se l’80% degli italiani si è vaccinato per fare il Green pass (e di conseguenza non vede di buon occhio l’altro 20% che ne reclama l’abolizione o pretende i tamponi gratuiti) non andrà certo a privilegiare chi sostiene le ragioni della protesta contro l’obbligo. Chi ha pensato che poteva tenere i piedi in due scarpe o, come si diceva ai tempi, cuocere il pane in due forni, ha sbagliato strategia. Se Mario Draghi, magari anche grazie al sostegno quasi imbarazzante della quasi totalità della grande informazione, gode di una credibilità e di una popolarità granitiche, difficile che sia premiato chi si oppone al suo governo. Chiaro che un’astensione al 60% sia pure in un ballottaggio che esclude buona parte delle forze che si erano presentate ai nastri di partenza, sottintende un vuoto di rappresentanza su cui avviare una riflessione. Che deve però partire anche dalla qualità del ceto politico e dalla capacità di elaborazione dei partiti. Di certo però alcune percentuali di elettori registrate anni fa non torneranno più. Perché adesso anche la non scelta è una scelta legittima perché non ci sono più in ballo, come capitò in passato, nella storia del nostro paese, decisioni tale da cambiare in maniera radicale la nostra esistenza.

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