Giggino e l’eterna
voglia della Dc

Com’è che diceva quello: “Moriremo democristiani”? Un altro, che si chiamava Pietro Nenni ed è stato uno dei padri del socialismo quando era una cosa seria, spiegava che “se uno a 18 anni non è rivoluzionario a 40 è forcaiolo”. Lui, che aveva superato gli 80, poteva permettersi di definirsi “riformista”. Insomma tutto si tiene.

Anche la conversione, per nulla forzata, di Giggino Di Maio da populista barricadero ad andreottiano in grisaglia. Il ministro degli Esteri per grazia ricevuta ha salutato i 5 Stelle e se n’è portati via una bella fetta per andare a fondare l’ennesimo movimento con il futuro nel nome che fa sempre un po’ scena e si collocherà al centro. Dove l’attendono a braccia spalancate i vari Renzi, Toti, Calenda e compagnia bella per formare un grumoso agglomerato politico che sarà la brutta copia di quella Balena Bianca che aveva solcato i mari procellosi della politica da dominatrice per 40 anni prima che il crollo del Muro di Berlino le levasse l’acqua e le toghe di Tangentopoli la fiocinassero. Da subito però era cominciata una nostalgia canaglia per quel partitone che teneva dentro tutto e il suo contrario: la destra reazionaria e la sinistra sociale con i dorotei nel mezzo a rappresentare un untuoso e immobile collante. Eppure gli italiani la votavano eccome. Magari con il naso turato come aveva invitato una volta a fare Montanelli mentre il Pci si illudeva con la freccia del sorpasso già accesa.

E poi va detto, che quegli uomini senza apparenti qualità il Paese lo avevano ricostruito e governato anche in maniera dignitosa, almeno fino a quando non erano prevalse la bramosia e l’avidità che avevano corroso il cetaceo fin dal suo interno. Però gli italiani non se ne accorgevano e continuavano a votarli, pur con qualche alto e basso, perché il centro con la sua moderazione era un po’ la cifra di una società per cui contava no solo la sicurezza del posto di lavoro, l’assistenza e le ferie d’agosto. Altri tempi, ma, a quanto pare, dopo le tante ricreazioni, si torna sempre lì, al centro, alveo in cui lo Scudo Crociato trovava la sua collocazione ideale. Alla fine se n’è reso conto pure Giggino, reduce dalla vittoria contro la povertà e senza l’apriscatole con cui voleva, assieme agli ex amici, far fare al Parlamento la fine del tonno in scatola, che in fondo ha solo fatto suo uno dei motti più citati di Giulio Andreotti per cui è meglio tirare a campare come capo della Farnesina che tirare le cuoia tornando a vendere gazzose allo stadio di Napoli. Ci sta per carità, non sarà il primo e neppure l’ultimo. Del resto la coerenza non è un obbligo per chi si butta in politica e può tranquillamente passare dal Vaffa di Beppe Grillo al Bilderberg di Mario Draghi che, statene certi, toglierà il disturbo solo quando vorrà lui. Ed ecco allora, come una sorta di Quarto Stato a scartamento ridotto, avanzare spavaldo il nuovo centro, ago della bilancia di qualunque alleanza futura e in grado di sedare passioni e derive estreme. Tutti insieme governativamente, magari anche con Forza Italia quando di Berlusconi resteranno solo gli orfani e a Lega e FdI non resterà che l’alternativa della minestra o la finestra, così come al Pd dall’altra parte. E tanto potranno tornare a fregiarsi di quel titolo che il solito Montanelli affibbiò ad Amintore Fanfani, democristiano di lunghissimo corso e di tutte le poltrone, ogni qual volta che veniva richiamato in servizio per guidare un governo balneare: “Il Rieccolo”. Allora, avete capito di che morte moriremo, ma magari sarà anche dolce naufragar nel mare della Balena Bianca rediviva.

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