Gli insulti al Papa dall’ultimo dei populisti

Wikipedia, non la fonte più affidabile ma almeno quella più accessibile, lo definisce “politico, economista, scrittore, docente e conduttore radiofonico”. Insomma: il perfetto cocktail del potenziale cretino. Ma se ancora avessimo dubbi, lui, Javier Milei, classe 1970, candidato alle prossime elezioni presidenziali argentine, ha recentemente provveduto a dissiparli. Altro che “potenziale”: Milei è un cretino fatto e finito.

La prova provata ci viene dal furibondo attacco che ha portato al suo connazionale più famoso – dopo Messi, si capisce – Jorge Bergoglio, salito alla cattedra di San Pietro nel 2013 con il nome di Francesco.

A scatenare la furia di Milei, forgiata a scopo propagandistico e infarcita di epiteti che non è il caso di riportare qui, le presunte “interferenze” di Papa Francesco negli affari interni argentini, ma certamente anche il suo ruolo di custode morale del mondo, mai stanco di ammonire governi, enti e singoli individui perché non dimentichino gli ultimi: i poveri, gli emarginati, i migranti.

Roba, questa, da “comunisti”, secondo Milei, il quale vorrebbe farci credere di essere l’opposto di un comunista: un ultra-liberista che crede solo nel mercato e nella libertà individuale. Questo dovrebbe convincerci che il truce Javier è l’erede sudamericano di Margaret Thatcher e Ronald Reagan, ovvero i leader più liberali che il mondo occidentale abbia conosciuto da decenni a questa parte.

Niente di più falso, ovviamente: Milei nulla ha a che vedere con quei due, è soltanto un nuovo modello di populista, una testa urlante, un politico tutto social e distintivo (anzi: senza distintivo) che strepita per farsi notare.

Attacca lo Stato (nel suo programma dice di volerlo ridurre ai minimi termini) non perché crede che troppo Stato possa “diventare il problema”, come sosteneva Reagan, ma perché, come molti altri oggigiorno al mondo, i suoi compaesani sono vittime di una semplificazione intellettuale: tutti i loro guai, pensano, risiedono lì, nella politica tradizionale, nelle istituzioni e lui, con la sua demagogia, vorrebbe passare all’incasso elettorale.

Conosciamo la tendenza a proiettare sempre e comunque la nostra frustrazione all’esterno e verso l’alto: e che cosa c’è di più alto dello Stato, in senso vago e figurato, e di Papa Francesco? Dunque, le sparate di Milei funzionano: gli hanno fatto vincere le primarie e ne fanno un serio contendente alle presidenziali.

Va da sé che il populismo, pur rimanendo in sostanza fedele alla pochezza dei suoi contenuti, deve costantemente aggiornare la forma del suo porsi. E quindi se Le Pen grida, Trump urla, E Bolsonero strepita, Milei dovrà spaccarci i timpani, altrimenti sembrerà vecchio e già visto.

Ecco allora che il suo liberismo si spinge a permettere la vendita di organi umani e a eleggere Al Capone “benefattore sociale”, senza per questo dimenticare di aggiungere al corredino di leader che la sa lunga il doveroso scetticismo sui vaccini anti Covid, la negazione del cambiamento climatico e, tocco di colore locale, la sprezzante dismissione storica della tragedia dei “desaparecidos”.

Povera Argentina, povera America, povero mondo. Povera Argentina, soprattutto: Paese poetico e straziato, grandioso e disperato. Ci ha aggiustato il cuore con René Favaloro, geniale medico inventore del bypass coronarico, e ce lo spezza con Javier Milei, il cui reato ideologico più grave è quello di far uso della parola “libertà” per i suoi scopi di arrogante demagogo. Dottor Favaloro, il cuore sanguina: ci pensi lei, per favore, dovunque si trovi.

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