Il 18 aprile dimenticato da sinistra e destra

“Meglio una messa che una messa al muro”. Così si esprimeva, lo ha ricordato ieri l’Huffington Post, un intellettuale laico come Alberto Ronchey sul 18 aprile del 1948. Ma a parte le eccezioni, di questa ricorrenza si sono dimenticati quasi tutti ed è incredibile se si pensa come veniva ricordata e strumentalizzata solo pochi anni fa. Pensare che ieri è stato anche l’anniversario numero 75 di quella domenica in cui veniva deciso il destino degli italiani, anche di coloro che, come l’estensore di questo pezzo, sono nati dopo.

Quel giorno la guerra calda era finita da tre anni ed era cominciata quella fredda che sarebbe durata fino agli albori degli anni ’90. Winston Churchill aveva già coniato la celebre espressione della “Cortina di ferro calata da Trieste a Stettino”. Ecco, in quella tiepida giornata di aprile gli elettori italiani, con il loro voto, avrebbero deciso se farla estendere a Ventimiglia. Erano le prime elezioni politiche libere dopo la dittatura fascista e la gente si era recata alle urne in massa. L’alternativa era netta: o l’Occidente democratico, rappresentato dalla Dc di Alcide De Gasperi o l’impero sovietico totalitario per cui propendeva il Fronte Popolare, formato dal Pci di Palmiro Togliatti e il Psi di Pietro Nenni e che si era appropriato dell’immagine di Garibaldi per risultare più accattivante. Dietro alla Dc si era mossa alla grande la Chiesa di Pio XII (che pure non ebbe rapporti sempre idilliaci con il grande statista trentino De Gasperi), il cui braccio armato erano i comitati civici di Luigi Gedda. Per comprendere bene il clima dell’epoca non c’è niente di meglio dei romanzi di Giovanni Guareschi con Don Camillo e Peppone e anche della loro felice trasposizione cinematografica che in uno degli episodi (“Il compagno Don Camillo”) aveva visto alla regia il nonno di Carlo Calenda, Luigi Comencini.

Si sa com’è andata: vittoria schiacciante della Dc e Italia saldata al blocco occidentale. E pare che anche Palmiro Togliatti, uno che i sistemi politici dell’Urss li conosceva bene, avesse tirato un sospiro di sollievo, anche se non fu lo stesso per tutto il Pci, in particolare per la componente che faceva capo a Pietro Secchia.

Resta da chiedersi perché, dopo le celebrazioni in pompa magna e i tentativi postumi di tirare De Gasperi per la giacchetta, quest’anno l’anniversario sia passato in sordina. Si potrebbe pensare che i moderati, sparsi tra destra e sinistra abbiano una voce fioca in capitolo. Di certo, magari nel Pd chic, ma anche piuttosto radical che Elly Schlein sta modellando, il riferimento a quell’episodio fondamentale per la nostra storia possa suonare un po’ stonato: la sinistra ne era uscita con le ossa rotte e da lì in avanti sarebbe stata costretta a cercare di affermare l’egemonia culturale di gramsciana memoria. Ma anche a destra questo non è un anniversario da segnare in rosso (figurati poi il colore) sul calendario. Perché gli italiani, con quel voto, avevano messo il sigillo sull’arco costituzionale dei partiti da cui il Msi, nonno di Fratelli d’Italia, sarebbe rimasto escluso fino all’avvento di Silvio Berlusconi che lo ha sdoganato.

Pensare che, con la guerra di Putin (figlio di quel sistema sovietico) il ricordo della scelta di campo che l’Italia aveva fatto allora potrebbe insegnare qualcosa. Ma forse ai politici di oggi dà fastidio il confronto con i “giganti” di allora.

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