Il futuro dello stadio
riguarda tutta la città

Il fatto che lo stadio Sinigaglia sia finito al centro della campagna elettorale per il Comune di Como è un segnale positivo. E forse prelude a una reale possibilità di mettere mano a una questione di cui si parla da anni senza, nel frattempo, aver fatto nulla se non lasciare andare in malora una struttura che, quando fu costruita in quella zona, era un autentico “gioiellino” inserito in un contesto razionalista che aveva ispirato il recupero dell’area.

Si potrebbe partire da qui: ragionare di stadio, ma anche di quanto gli sta attorno e che, negli anni è mutato in maniera significativa e ha finito per smarrire la propria identità urbanistica improntata, in origine, sulla prevalenza delle funzioni sportive. Poi però è arrivato anche il turismo che fagocita in buona parte i parcheggi lì realizzati e impatta, nel fine settimana in cui il Como scende in campo, con le esigenze di sicurezza legate al tifo.

Da qui è scaturito il dibattito, partito negli anni ’80 del secolo scorso sull’eventualità di spostare lo stadio all’esterno della convalle, riqualificare l’area dove sorge e ottimizzare le sue altre funzioni. Ma, prima il vincolo della Sovrintendenza sul Sinigaglia e poi i tanti anni incerti vissuti dal Calcio Como tra fallimenti e rinascite hanno di fatto congelato tutto e portato la struttura in una sorta di “terra di nessuno” con l’inevitabile degrado.

Nelle precedenti campagne elettorali le priorità della città erano ritenute altre e dello stadio non si parlava. Durante l’amministrazione Lucini era spuntato l’interessamento di una società tedesca per un completo restyling, un aumento dei posti a sedere (tutti coperti) e - soprattutto - la creazione di spazi commerciali e parcheggi con l’obiettivo di rendere il comparto vivo e fruibile tutti i giorni, non solo in occasione delle partite degli azzurri. Ma non se ne fece niente.

Con l’attuale proprietà del Como, di certo la più dotata di mezzi e affidabile delle tante che hanno avuto in mano la società negli ultimi decenni, il discorso è ripartito, ma avanti piano. E certo non aiuta l’avvicinarsi della fine del mandato dell’amministrazione comunale in carica.

La palla, insomma è già nel campo del prossimo primo cittadino e della sua giunta. Finora nel dibattito sono intervenuti Giorgio Gori, sindaco di Bergamo del centrosinistra e sostenitore di Barbara Minghetti e il parlamentare comasco di Fratelli d’Italia, Alessio Butti. Il primo ha invitato Como e a seguire l’esempio della città orobica dove lo stadio di proprietà comunale come quello lariano è stato ceduto all’Atalanta che ha provveduto, con un investimento di 40 milioni a riqualificarlo e adeguarlo. Il secondo sostiene che le due situazioni non sono comparabili, ma poi di fatto, finisce per indicare anche lui un intervento dell’attuale proprietà del Calcio Como.

Il primo nodo da sciogliere una volta per tutte, con l’ovvio coinvolgimento della società calcistica, è decidere dove si vuole lo stadio: al suo posto o altrove. Perché il dibattito sul Sinigaglia riguarda anche il futuro della città. A favore della prima tesi, potrebbe giocare anche il richiamo turistico. Gran parte degli stadi stranieri, ma non solo, sono stati attrezzati per attrarre visitatori anche al di là dei tifosi del fine settimana. In questo senso la posizione del nostro impianto che si bagna i piedi nel lago può costituire un valore aggiunto tutt’altro che indifferente. Costruire una nuova struttura all’esterno della convalle risolverebbe il problema dei disagi legati alle misure di sicurezza e alle intemperanze dei tifosi.

Qualunque sia la decisione occorre comunque ragionare non solo sul Sinigaglia, ma su tutta l’area che, oltretutto, tra un anno e mezzo circa si gioverà delle realizzazioni dei nuovi giardini a lago.

Poi occorre capire chi dovrà intervenire per la realizzazione di un altro impianto sportivo o per l’adeguamento di quello che c’è già. E non è pensabile che il pubblico possa farsi carico degli oneri richiesti dall’una e dall’altra opzione. Quindi occorre trovare la formula per coinvolgere i privati. La cessione della struttura che, però, in Comune non è mai stata vista di buon occhio proprio per i timori delle eventuali conseguenze su quel pezzo importante di città o una concessione adeguata all’onere richiesto ai partner.

Qualunque sia la scelta, una decisione deve essere presa e diventare operativa al più presto. La situazione attuale non può più essere tollerata da tutti i punti di vista.

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