Il silenzio di Como rotto solo da Rapinese

Una decina di anni fa, con il mancato finanziamento da parte di Fondazione Cariplo, venne archiviato per sempre il progetto di un campus universitario all’ex ospedale psichiatrico San Martino.

Non solo. Perché di lì a poco, inevitabile conseguenza, arrivò anche la smobilitazione del Politecnico da Como. Campus e Politecnico che rappresentano invece il fiore all’occhiello, la vera forza attrattiva di Lecco, la ridente cittadina adagiata sul ramo meno nobile del lago. Quella che il sindaco Rapinese, con una delle sue iperboli più sperimentate, sostiene che manco esista.

Ora, la vicenda è nota e ormai, visto il tempo che è passato, ha assunto una dimensione storica. Non è questa la sede per ragionare sulla bontà della scelta della Fondazione, che ha preferito il progetto di restauro di Villa Olmo presentato dalla giunta Lucini, sulla validità dei due piani, sulla loro sostenibilità eccetera.

Il tema vero, quello davvero significativo e che aveva molto impressionato chi scrive questo pezzo, è la totale indifferenza, l’assordante silenzio da parte della città, delle sue classi dirigenti, dei partiti, della società civile, sulla cancellazione di un investimento strategico che, come dimostrato in decine di capoluoghi italiani anche piccoli, garantisce respiro, sviluppo e innovazione. Molto più di un semplice, per quanto prestigiosissimo, restauro, a dir la verità.

Questo fatto, unito a tanti altri, spiega un sacco di cose che sono avvenute dopo. Spiega, ad esempio, come mai la primavera scorsa un tipo davvero originale come Alessandro Rapinese - un evento politico-amministrativo che, se la stampa nazionale fosse meno ottusa e meno trombona di quello che è, avrebbe dovuto essere studiato come un caso di scuola - sia potuto diventare sindaco. Battendo prima la destra e poi la sinistra e, di fatto, tutti i poteri forti costituiti. Pur essendo già esaurita l’onda grillina, pur essendo illanguidita quella populista (si era ancora nell’era Draghi, sembrano passati due secoli…), pur avendo contro tutti i parlamentari e consiglieri regionali, pur non possedendo una rete di relazioni istituzionali, economiche e associative, pur avendo dei competitor meno pronti e aggressivi di lui – nessuno è più preparato sulle cose di Palazzo Cernezzi di lui, nessuno è più aggressivo di lui -, ma politicamente più strutturati. Nonostante tutto, ha vinto lo stesso.

Ma anche questa ormai è storia. E infatti sono sette mesi che da destra e sinistra si srotola la litania delle accuse, delle recriminazioni e delle lamentele, del tutto legittime, per carità, sul Rapinese che fa questo e il Rapinese che fa quello e il Rapinese che insulta e il Rapinese che minaccia e che la fa fuori dal vaso (e su certe intemerate era meglio lasciare l’esclusiva a Salvini…) e che non ascolta e che verrà travolto dalla valanga di promesse che ha fatto e dall’inesperienza della sua giovane giunta e dal suo delirio accentratore e autoritario e machista ed è una vergogna ed è una cosa inaudita e dove andremo a finire, signora mia, e una volta sì che si faceva politica sul serio e la gente è stufa e la gente non arriva a fine mese e la gente non ce la fa più e bla bla bla.

Benissimo. Tutto vero. Sarà così. Poi, però, salta fuori la storia del campus di cui sopra. E dell’eterno San Martino e dei suoi mille avveniristici progetti. E poi della Ticosa e dei suoi primi formidabili quarant’anni. E poi delle paratie sul lungolago (a proposito, il sindaco impari da Malgrate come si fa un signor lungolago…), che è meglio non parlarne perché sembra un film dei Vanzina. E poi, allargando il tiro, della tangenziale, che invece sembra un film di Monicelli. E mille altre questioni strategiche sulle quali le mirabolanti campagne elettorali degli ultimi quattro decenni hanno infiorettato promesse altrettanto mirabolanti con gli esiti che sono – metaforico cenotafio - sotto gli occhi di tutti.

Bene, se tutte queste preclare intelligenze politiche (di destra, di centro e di sinistra), associative, imprenditoriali e giornalistiche - che quando si parla di intelligenza, figurati se possono mancare i giornali con i loro intelligentissimi direttori - ci hanno fatto arrivare a questo punto, a cosa sono servite tutte queste preclare intelligenze?

C’è stato un complotto planetario che ha impedito ai bennati comaschi di portare a termine le cinque rivoluzioni urbanistiche e culturali ideate dall’Archimede pitagorico di turno? Chi lo ha impedito? Chi ha tramato? Chi ci ha tarpato le ali? Fare un parcheggio in Ticosa è un progetto di basso profilo? Certo che lo è. Ma allora come mai in quarant’anni nessuno ci ha fatto qualcosa di alto profilo, in Ticosa? Dove ce li siamo persi tutti questi Le Corbusier, questi Haussmann, questi Piacentini che avevano progettato la nuova Como degli anni Tremila?

La questione, e siamo finalmente al punto, non è Rapinese, né la simpatia istintiva che ispira a chi scrive questo pezzo, ma che naturalmente non vuole dire nulla, visto che ha passato qualche anno a dirne di tutti i colori del nostro giornale, d’altronde un bel tipo per il quale esiste solo Como figurarsi se può accettare un azionista bresciano, un amministratore delegato bergamasco e un direttore (sfregio!) lecchese…

La questione non è Rapinese. La questione sono i comaschi, le classi dirigenti politiche, e non solo, comasche. Che come conseguenza del loro fallimento pluridecennale hanno spinto un elettorato sempre più deluso e tradito verso un’alternativa radicale, che avrà pure tutti i difetti che le vengono contestati - nel 2027 faremo i conti - ma alla quale non si possono davvero non riconoscere un amore assoluto per la città - vi sembra poco? - e una competenza amministrativa superiore alla media, frutto di vent’anni di opposizione quotidiana e martellante al limite dell’ossessione.

Ecco, a proposito. Un consiglio alle opposizioni. Forse sarebbe il caso di prendere qualche lezione di come si fa opposizione. Chiedete una consulenza a Rapinese.

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