Il voto in Francia
e l’Europa che non va

Finora si era pensato che il sistema elettorale francese, con il doppio turno, tanto invocato quanto mai preso in considerazione, in Italia, mettesse al riparo i nostri vicini del rischio di un’affermazione della destra della “dinasty” Le Pen. Questa volta non sarà più così.

Certo, i risultati del primo turno sono stati più confortanti rispetto ai sondaggi per Emanuel Macron. Ma il successo al ballottaggio del presidente uscente non è dato per scontato. I voti cosiddetti “anti sistema” quelli di Melenchon, a sinistra, che però ha fatto un appello contro la candidata, e di Zemmour all’estrema destra, sommati a quelli di Marine Le Pen rappresentano il 50% dell’elettorato. Non è detto che confluiranno tutti sulla sfidante di Macron, specie per quanto riguarda i sostenitori di Melenchon, ma neppure è scontato che l’attuale inquilino dell’Eliseo raccolga tutti i sostenitori delle altre forze in campo: gollisti, socialisti, comunisti ecc… La situazione francese non è dissimile da quella italiana. Anzi, con un Pd che Letta sta portando sempre di più su posizioni distanti dalla sinistra tradizionale (su tutte la linea a proposito della guerra), le somiglianze aumentano. Anche se da noi, come detto, il sistema elettorale a doppio turno resta una chimera. Se si guarda alla gran parte dei sondaggi, quello del Nazareno resta il primo partito, incalzato però da FdI di Giorgia Meloni che precede la Lega di Salvini. I due assieme non arrivano a coprire metà dell’elettorato. Hanno bisogno dell’appoggio di Forza Italia, la più gollista delle forze politiche italiane, che però, pur nella coalizione di centrodestra, ha posizioni diverse soprattutto sull’Europa. Insomma, quello che sta accadendo in Francia oggi, potrebbe succedere da noi il prossimo anno. E senza il doppio turno, l’affermazione del centrodestra a guida meloniana in virtù dei consensi, è tutt’altro che peregrina. La leader di FdI, così come Marine Le Pen, ha cambiato posizione sull’Europa. Da un atteggiamento oltranzista è passato a uno, per così dire “riformista”, anche in seguito alla sua ascesa alla presidenza del Partito dei conservatori e riformisti europei che rappresenta la destra di governo euroscettica e antifederalista, ma si distingue sia dal più moderato Ppe che dal raggruppamento più estremo al quale aderiscono la Lega e il Rassemblement National di Le Pen.

In comune a entrambi i gruppi c’è la convinzione che l’Europa, così com’è non va. Un concetto che, a quanto pare, rimane molto radicato negli elettori francesi e non solo. Pensare che il Vecchio Continente sembrava aver recuperato un’immagine positiva dopo il caos Brexit con le sue conseguenze, la buona gestione della pandemia e, soprattutto, i fondi piovuti con il Pnrr. La composizione del governo europeo “europeista”, dopo un voto che aveva premiato i partiti sovranisti ,e le elezioni in alcuni paesi, prima di quelle in Ungheria e Francia, avevano confermato questa tesi. È stata, con ogni probabilità, la guerra tra Russia e Ucraina a riportare a galla, malumori, paure, incertezze e scetticismo. Primo perché, ancora una volta l’Unione europea ha mostrato il volto del vaso di coccio tra quelli di ferro rappresentati da Mosca, Washington e Pechino. E forse anche perché la scelta di appoggiare nel conflitto, senza se e senza ma, le posizioni di Zelensky, ha suscitato reazioni non del tutto favorevoli. A prescindere dai torti e dalle ragioni, che in questa guerra sono chiarissime e si potrebbero perciò guardare con maggiore obiettività senza passare ad ogni costo per putiniani, non c’è nulla di peggio del mainstream che tenta di incanalare tutto verso un presunto pensiero unico, ma ritenuto politically correct per determinare reazioni di pancia che sommate ad altre paure e incertezze portano i cittadini a premiare le forza politiche che, in maniera più o meno aperta, si oppongono a questo andazzo.

In ultima analisi, quello che sta accadendo in Francia e magari tra un anno si ripeterà in Italia, deve portare un ripensamento vero e coraggioso dell’Unione europea, che non può più limitarsi a essere economica, come, va detto, conviene a molti. Ma deve diventare politica e, con lo scenario che questa guerra farà mutare in maniera anche irreversibile, anche militare. Non è difficile. Il manifesto di Ventotene e le tesi di Alterio Spinelli sono lì. Basta avere la volontà di applicarli.

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