
Nel 1960 il nonno di Carlo Calenda, Luigi Comencini, girò un film sull’8 settembre intitolato “Tutti a casa”. Il protagonista era Alberto Sordi, nei panni di un ufficiale dell’esercito italiano che, come quasi tutti, era ignaro dell’armistizio siglato dal maresciallo Pietro Badoglio con gli Alleati e, vedendosi arrivare addosso l’esercito germanico, si precipitava a chiamare il suo superiore per dirgli: «I tedeschi si sono alleati con gli americani, ci sparano addosso».
Lo stesso stupore del personaggio interpretato da Albertone non di Giussano potrebbe provarlo un esponente leghista della prima ora di fronte a Matteo Salvini, attuale leader del Carroccio, che annuncia il via libera al progetto per il Ponte di Messina, opera che si è intestato in quanto ministro delle Infrastrutture.
Del resto, in un’altra pellicola più recente (2009), “Cado dalle nubi”, Checco Zalone rischia il linciaggio perché, in un raduno di leghisti, canta una canzone in dialetto calabrese in cui chiede all’allora premier Silvio Berlusconi: “Facimu stu punti”, sempre quello sullo Stretto.
In mezzo ci potrebbe stare un’altra opera cinematografica, Goodbye Lenin (2003), che racconta di una donna seguace del regime della Germania Est, caduta in coma poco prima della caduta del Muro di Berlino e risvegliatasi quando il comunismo non c’era più. Da Goodbay Lenin a Goodbye Lega il passo è breve. Anzi stretto.
Pensate a un “lumbard”, come si chiamavano allora i leghisti, finito in coma al tempo della segreteria di Bossi e della secessione, che riprende coscienza e vede il suo nuovo segretario inaugurare il Ponte (se mai si farà sul serio). Gioverà ricordare che l’attuale Lega aveva nella denominazione sociale il termine “Nord”, anche con l’aggiunta della frase “per l’indipendenza della Padania”, e si poneva come obiettivo politico la secessione dall’Italia dei territori collocati al di sopra del Po. Coniava slogan come “Roma ladrona” e “Forza Etna” quando il vulcano siciliano entrava in attività. Altro che ponte, insomma. Ma questa è solo la certificazione di un percorso che Matteo Salvini, successore di Umberto Bossi alla segreteria, ha intrapreso da tempo: la creazione di una Lega nazionale e sovranista in grado di ottenere consensi anche al Sud e non solo nelle regioni settentrionali. Una strategia che ha avuto successo alle elezioni europee del 2019, con il Carroccio guidato dal “Capitano” Salvini capace di superare il 34% dei consensi, risultato mai raggiunto in precedenza, ma poi precipitato nei voti e nei sondaggi a livelli di poco superiori a quelli massimi ottenuti dal movimento di Bossi, che però non prendeva preferenze al Sud e raccoglieva poche manciate di voti al Centro. Lo stesso Capitano, oggi, è formalmente un parlamentare eletto in Calabria.
E che ci tenga come mai a intestarsi quest’opera lo si capisce dalla reazione abbastanza infastidita alla proposta di intitolare il colossale manufatto alla memoria di Silvio Berlusconi che non è riuscito a realizzarlo.
In questa sede non si tratta di confutare l’utilità del Ponte né di mettere alla gogna Salvini. Le giravolte politiche, infatti, le hanno fatte in molti.
La Dc ha a lungo oscillato tra centrosinistra e centrodestra, accettando i voti del Msi (antenato di Fratelli d’Italia) per eleggere due presidenti della Repubblica, Antonio Segni e Giovanni Leone, salvo poi sancire l’alleanza del compromesso storico con il Pci, chiusa a causa del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. Gli stessi comunisti, anche prima dello scioglimento, avevano operato con il segretario Palmiro Togliatti la “svolta di Salerno”, che accantonava, sia pure temporaneamente almeno a beneficio dei militanti (era conscio che sarebbe stata impossibile), la rivoluzione per collaborare con la monarchia e il governo Badoglio. Forza Italia, nata come movimento a forte impronta liberista, si è poi trasformata — già sotto la guida di Silvio Berlusconi — in una sorta di Democrazia Cristiana laica.
Il Psi di Bettino Craxi aveva reciso il cordone ombelicale con il marxismo, togliendo la falce e il martello dal simbolo. Il Pd alterna ondate più marcatamente di sinistra ad altre più moderate.
La metamorfosi della Lega lascia però aperta la “questione settentrionale”. Il fatto di occuparsi e dedel Ponte di Messina, (con miliardi di euro stanziati), funzionale perlopiù al turismo e reso meno incisivo dall’inadeguatezza della rete infrastrutturale al Sud, tralascia parecchie questioni: la Pedemontana ancora incompiuta e interamente pagata da privati, molti ponti chiusi in Lombardia, le difficoltà del cantiere per la Variante Tremezzina sul lago di Como (che riguarda anche il versante lecchese e la Valtellina), la Milano-Meda a pagamento, il disastro delle ferrovie lombarde. Insomma, oltre — e magari prima — del Ponte di Messina ci sarebbe da fare anche qui.
Certo, viene da pensare a una sliding doors: cosa sarebbe stato della Lega se Umberto Bossi, quand’era ancora in piena attività, non si fosse gravemente ammalato, perdendo di vista gli scandali nella sua “corte” e nella sua famiglia che lo hanno poi costretto a passare la mano?
Difficilmente, al di là dei risultati raggiunti dalla Lega di allora, saremmo qui a parlare del Ponte sullo Stretto. O meglio: magari ne parleremmo e basta, come succede più o meno dai tempi in cui la Sicilia era governata dai Borboni. La storia, spesso, si fa con gli incidenti.
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