L’economia liberale in salsa italiana

L’Italia è un paese meraviglioso. Ci voleva il governo Meloni per dare attuazione alla ricetta economica di Bertinotti. E per dimostrare per l’ennesima volta che a forza di andare a destra uno finisce inesorabilmente a sinistra.

La sciagurata, grottesca e demagogica misura del prelievo sugli extraprofitti bancari, decisa (ma già ampiamente rimangiata, siamo pur sempre in Italia…) dal consiglio dei ministri conferma questa abitudine tutta nostra delle tasse retroattive. Cioè lo spassoso gioco del Fisco di cambiare le carte in tavola dopo mesi o addirittura anni e costringere quindi il malcapitato di turno a versare imposte che fino al giorno prima non erano dovute. Tipico atteggiamento di uno Stato che tratta i contribuenti non come cittadini, ma come sudditi. Tanto per essere chiari.

Ora, è vero che prendersela con le banche è come sparare sulla Croce Rossa: stanno sul gozzo a tutti, per l’uomo della strada sono colpevoli di tutto, riscuotono la stessa popolarità di Putin a Kiev o di Lukaku nella Curva Nord dell’Inter e tutto il resto che volete voi, d’accordo, ma se facciamo passare il concetto che l’Erario ogni volta che c’è un’emergenza prende da un settore, un’impresa o un professionista una parte superiore dei guadagni, decidendo che quella fissata per legge è insufficiente, non siamo più in uno Stato di diritto, ma di fronte a un esproprio. Cosa che piacerebbe tanto al Bertinotti di cui sopra, ma a quanto pare anche alla Meloni di cui sopra, visto che la sua cultura anti imprenditoriale, anti liberale, anti concorrenza, anti mercato è fatta più o meno della stessa pasta di quella propagandata da Sinistra Italiana, Verdi, 5Stelle e ciarpame al seguito. E nessuno si stupisca, perché gli anti liberali - rossi o neri che siamo - sono la stessa identica roba. Una faccia, una razza.

Ci sono fior di economisti che possono spiegare quanto tecnicamente questa decisione sia improvvida, populista e regressiva. Quello che in questa sede importa sottolineare è invece l’aspetto culturale del provvedimento. E cioè, quanto sia grave che il premier parli di profitti “giusti” o “ingiusti”, di “guerra ai ricchi”, di “banche da punire”, imponendo valutazioni politiche invece di far semplicemente rispettare le regole vigenti. Cosa vogliamo fare, inserire valutazioni etiche in tutti i settori economici? E chi le decide? Il Gran Consiglio della Morale Pubblica? Il Re Taumaturgo che difende il Popolo? Il Sinedrio della Purezza della Patria? Gli unici profitti “ingiusti” sono quelli incassati violando le leggi. Tutto il resto sono parole al vento degne di un demagogo digitale che proclama che lo Stato è il Sovrano, il Sovrano tassa chi vuole, come vuole e quando vuole senza preoccuparsi degli effetti sull’economia e sui risparmiatori e, oltretutto, selezionando a capocchia la probità o meno dei profitti.

Perché se così fosse, a quando un bel prelievo sugli extraprofitti dei produttori di armi, con tutto quello che stanno guadagnando? Non sono forse dei mascalzoni, farabutti, guerrafondai, nemici dell’umanità? E quando sul settore farmaceutico, con i miliardi che hanno fatto negli anni del Covid e visto che sono degli sfruttatori, accaparratori, truffatori che ci usano come cavie per i loro esperimenti genetici? E i petrolieri? Quando li spazzoliamo i petrolieri? E le aziende del lusso? Quando le stanghiamo le aziende del lusso, visto che il lusso non va mai in crisi, alla faccia della gente che non arriva a fine mese? E il settore alberghiero? Quando requisiamo tutti i cinque stelle del lago di Como, che sono esauriti tutto l’anno, perché non gli espropriamo e regaliamo le stanze agli spazzacamini, ai salatori di aringhe, ai raccoglitori di birilli, agli accenditori di lampioni? Quante sono le categorie da pettinare con gli extraprofitti? E quali sono? E chi lo decide quali sono? Facciamo una seduta spiritica per riesumare le sacre volontà di Evita Peron?

È una linea ridicola, se non fosse tragica, che però sorprende solo gli sprovveduti, i distratti o coloro che non sanno niente delle storia di questo paese. E che quindi non diffidano, mentre invece dovrebbero, anzi, dovrebbero farsi una grassa risata, quando esce fuori il liderino di turno a declamare ai quattro venti di essere un liberista con due cosi così e di voler fare la rivoluzione liberale. Bene, Giorgia Meloni - che ha tante altre qualità, detto senza ironia - non ha niente di liberale, ma niente niente, neppure l’ambizione. Non concepisce la distinzione dei poteri, non pratica il garantismo, o meglio lo pratica, come tutti, solo quando tocca i suoi, ha fatto in Rai tutto quello che hanno fatto i suoi predecessori - tutti! - e cioè l’ha occupata.

E poi, la cosa più grave, si è imbarcata nelle consuete manovre stataliste all’italiana cercando di controllare i prezzi della benzina, quelli dei supermercati, quelli dei biglietti aerei - con esiti ovviamente ridicoli - mentre si è sdraiata sulle corporazioni più viete e occhiute e ricattatorie, quali i taxisti e i balneari.

Ma liberale chi? Ma liberale dove? In Italia la destra liberale, così come la sinistra di mercato, sono due Ufo, due oggetti sconosciuti svolazzanti nelle galassie che si guardano bene dall’atterrare sulla repubblica delle banane, dei sussidi, dei bonus, delle rottamazioni, dei condoni, delle prepensioni, delle finte pensioni, delle finte cooperative, della Cassa del Mezzogiorno, delle municipalizzate, delle partecipate, delle protezioni, delle filiere, del familismo amorale, del mi manda Picone, del me lo ha detto mio cugino, del me lo ha segnalato il sottosegretario, del concorso pilotato, dell’esame truccato, insomma, di tutta la meravigliosa architettura democristiana che governa ancora e per sempre le menti di noi italiani medi e per la quale non c’è mai nessuno che vince e nessuno che perde. Perché tutti quanti, alla fine, si mettono d’accordo.

I critici più maliziosi dicono che la Meloni, in fondo, non sia fascista, ma comunista. Anzi, grillina. La verità è che non sembra altro che l’ennesima incarnazione 4.0 di Rumor e Andreotti, che infatti vedevano il pensiero liberale come il diavolo. E invece il diavolo (statalista) erano loro. E lo sono ancora di più adesso che, all’apparenza, sono spariti, perché si sono insinuati, come un virus, dentro i loro arruffati eredi. D’altronde, si sa che la più grande beffa che il diavolo abbia mai fatto è convincere il mondo che lui non esiste.

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