New york: vince il populismo di sinistra

La “Grande Mela” è sempre più rossa, politicamente parlando. E tutta la sinistra mondiale intona “New York, New York” come Liza Minnelli. Certo, il successo di un musulmano con venature antisraeliane, Zohran Mamdani, nella città dell’11 settembre, che è anche quella dove vive la maggiore popolazione ebraica al di fuori di Israele, può apparire clamoroso. Ancor di più se si pensa che il neo vincitore, all’inizio della competizione elettorale che lo vedeva contrapposto all’ex governatore Andrew Cuomo, era quotato nei sondaggi all’1%.

Mamdani, in campagna elettorale, ha fatto promesse paragonabili alla sortita di Fantozzi quando, davanti alle balle seriali del collega Calboni, millanta di essere stato “azzurro di sci”. Case a prezzi calmierati, aumento del potere d’acquisto in una città dove la vita costa come in poche al mondo, una sorta di reddito di cittadinanza, asili gratis e via dicendo. Il tutto con il recupero delle necessarie risorse attraverso l’aumento delle tasse solo per i super ricchi, cioè per chi dichiara redditi oltre il milione di dollari. In altre epoche si sarebbe definito un programma socialdemocratico. Ma il mondo è cambiato.

C’è da crederci che abbia vinto, quantomeno perché gli elettori gli hanno creduto. O forse anche perché, come hanno osservato diversi commentatori, New York è una sorta di immensa Ztl nostrana, da sempre orientata a sinistra. O magari, chissà, questo è stato anche un segnale a Trump, lanciato proprio da coloro che solo un anno fa lo avevano rimandato alla Casa Bianca. In ogni caso, il nuovo sindaco newyorkese, 34 anni, ha saputo riaccendere la speranza degli elettori. La partecipazione al voto, tornata ai livelli di cinquant’anni fa, lo testimonia.

Da qui a pensare , come sta già facendo la sinistra italiana e buona parte di quella europea, che il modello sia replicabile anche da noi, ce ne corre. Innanzitutto perché, ed è questo davvero un tratto distintivo di Mamdani, nessuno qui ha il coraggio di dire che aumenterà le tasse anche solo per i ricchi (non tirate fuori la faccenda delle banche nella manovra: è altra cosa). E poi perché, alla fine, è innegabile che la campagna elettorale del sindaco sia stata incentrata sul populismo. Di sinistra, certo, ma pur sempre populismo. Un po’ come i Cinque Stelle prima versione.

Dovrebbe darsi una calmata anche chi ha già posto Mamdani sul trampolino di lancio della leadership democratica americana, anche se è impossibile una futura sfida a Trump (ammesso che quest’ultimo riesca a introdurre il terzo mandato) fra tre anni poiché il nuovo sindaco è nato in un altro paese, l’Uganda. E poi la Grande Mela non ha mai proiettato, almeno negli ultimi decenni, nessuno più in là. L’ultimo a provarci, senza successo, è stato Rudolph Giuliani, già popolarissimo sindaco sceriffo della città. Certo, i democratici Usa sono in cerca di una figura di leader, ruolo incarnato per ora dall’anziano Bernie Sanders. Non è detto, però, che debba essere per forza il nuovo primo cittadino di New York.

Bisogna, insomma, vedere come Mamdani guiderà la città. Se riuscirà a migliorarne l’efficienza e a ridurre le enormi distanze sociali che la attraversano, allora sì: potrebbe davvero diventare un modello vincente, da imitare anche nella sinistra riformista italiana. In caso contrario, resterà valida la sentenza di Carlo Calenda: quando si è ridotti alla disperazione, ci si affida anche a un musulmano a New York o a un tizio con i capelli arancioni.

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