Starmer: la sinistra che esce dalle Ztl

Contrordine compagni. Pur in crisi, come gran parte della sinistra mondiale, i Labour britannici dimostrano comunque di essere un passo avanti agli altri. Un po’ come la Premier League che è considerata il miglior campionato di calcio al mondo. Il paragone non sembri fuori posto: anche qui, il tema è la presenza degli stranieri. Non quelli ricchi e talentuosi che alimentano le fortune di un sistema calcistico che, il prossimo anno, porterà ben sei squadre in Champions League, e che continueranno ad essere i benvenuti sull’isola, nonostante una Brexit che l’ha resa ancor più isolata. Ma gli altri stranieri: tra cui, purtroppo, anche molti italiani che varcano la Manica per imparare la lingua.

«Non possiamo diventare una nazione di stranieri»: a pronunciare questa frase non è stato Nigel Farage, leader del partito populista e di estrema destra, Reform UK, bensì il premier Keir Starmer, esponente laburista. Lo ha fatto annunciando una serie di restrizioni all’immigrazione, cresciuta sensibilmente proprio dopo la Brexit.

Certo, è anche una mossa tattica per contenere l’ascesa elettorale di Farage. Ma rappresenta soprattutto la rottura di un tabù, che ha sempre frenato la sinistra europea - e in particolare quella italiana - nell’affrontare con coraggio il tema dell’immigrazione in modo diretto, senza limitarsi a buttare la palla nel campo dell’Unione Europea. Un alibi che Londra, fuori dall’UE, non può più permettersi. Ed è forse anche questa condizione che ha spinto Starmer a compiere una scelta di coraggio politico, criticata sia all’interno del suo partito sia da associazioni umanitarie e perfino da settori della destra moderata.

È evidente che l’equazione immigrato-delinquente è infondata. Molti crimini efferati (l’ultimo caso è quello del quasi duplice omicidio con suicidio da parte di un detenuto italiano appena uscito dal carcere ) non coinvolgono affatto cittadini stranieri. È altrettanto chiaro che l’immigrazione, che ha anche un forte impatto sul mercato del lavoro, va gestita con realismo, e non solo per ragioni di consenso elettorale.

Difficile separare l’idea di immigrazione da quella di insicurezza, nella percezione di molti cittadini dei Paesi ospitanti. Una situazione che alimenta la crescita dei movimenti di destra o ultradestra, i quali, pur non eccellendo nella gestione concreta di un fenomeno destinato a restare epocale e irrisolvibile del tutto, sanno sfruttare bene le paure diffuse.

Starmer, senza rinunciare a valorizzare le risorse umane rappresentate dagli immigrati, propone un filtro: l’ingresso sarà concesso solo a chi possiede almeno una laurea. Un’immigrazione «al servizio dell’interesse nazionale», come ha detto lo stesso premier. Parole che, se pronunciate da un esponente di sinistra, seppur moderata, possono suonare come un’eresia per una parte dell’elettorato progressista.

Traslando il discorso in Italia, dove il Pd e i Laburisti si trovano su soglie di consenso simili (intorno al 20%), la svolta britannica potrebbe rappresentare un’indicazione per uscire da quella “Ztl” ideologica in cui il centrosinistra è spesso rimasto confinato. Certo, il Labour è al governo, in parte grazie ai disastri conservatori da Boris Johnson in poi, mentre il Partito Democratico di Elly Schlein è ancora all’opposizione. Ma se davvero vuole provare a scalzare Giorgia Meloni e il centrodestra nel 2027, sarebbe opportuno che iniziasse una riflessione seria sulla lezione di realismo (e pragmatismo) offerta da Keir Starmer..

© RIPRODUZIONE RISERVATA