Turismo a Como, la musica è cambiata

Una volta era “la musica è finita, gli amici se ne vanno”. Ora il rischio di una fuga dei turisti dal lago di Como potrebbe legarsi al fatto che la melodia è cambiata. L’attratività delle nostre terre, infatti, era portata in palmo di mano da quasi tutti i media dell’orbe terracqueo. Anche in maniera esagerata dopo l’avvento di George Clooney in quel di Laglio. Tutti ricordiamo i titoli sul lago più bello del mondo, sui luoghi incantati, sulle tante star che in coda al divo brizzolato hanno preso casa da queste parti o sono venuti a soggiornarvi. Da qui l’effetto trascinamento che ha portato visitatori da ogni parte del mondo e, dopo la pausa del Covid, mandato tutto in overbooking. E allora sono uscite le magagne di una crescita turistica che non è stata gestita o programmata a dovere. In primis il lago è stato in gran parte cementificato per realizzare strutture e infrastrutture. Non sono però stati potenziati i servizi, soprattutto per quanto riguarda i trasporti che rappresentano oggi il principale problema per chi soggiorna da noi. Paesi e parte del capoluogo sono diventate location di case vacanza grazie al disordine urbanistico. E i prezzi di tutto hanno registrato una crescita esponenziale.

Insomma, da risorsa il turismo sta scolorando in incubo, per gli indigeni che non raccolgono i frutti di questa crescita della presenza, ma pure per gli stessi villeggianti che, oltretutto, spesso arrivano con aspettative alimentate dai social per poi ritrovarsi in una realtà comunque incantevole, ma un pochino ridimensionata o diversa, vedi il caso di coloro chi si aspettano di poter fare il giro del lago a piedi, ignorandone il perimetro. È il caso di rendersene conto: buona parte del boom turistico degli ultimi anni si deve all’immagine del lago proiettata nel mondo da media e testimonial. Altrimenti non si spiegherebbe perché per secoli il nostro territorio è stato solo meta di una super élite di visitatori di elevato livello culturale o sociale che peraltro ignoravano del tutto o quasi nei loro itinerari, il capoluogo, e forse c’era un perché. Poi, certo il mondo è cambiato. La caduta del Muro di Berlino e la fine del socialismo reale ha portato anche i magnati russi a far incetta di dimore e il glamour holliwoodiano scaturito da Clooney ha fatto presa sugli statunitensi e non solo. Adesso, però, come tutte le bolle che a furia di gonfiarle prima o poi scoppiano, anche il nostro turismo rischia di fare questa fine. Proprio perché la leva che ha sollevato tutto, cioè l’immagine, sembra abbia invertito la direzione di spinta. Se tre coincidenze sono un indizio è meglio preoccuparsi dei tanti reportage pubblicati in questi giorni sulla stampa per evidenziare tutte le criticità del turismo locale e, soprattutto, sottolineare come le aspettative generate dai social nei turisti sono perlopiù disattese. Alla fine, in tutti questi servizi, si lascia intendere che, al di là delle bellezze naturali e delle dimore da sogno non c’è molto altro per cui valga la pena di arrivare fin qui. E si sottolineano anche i disagi degli abitanti di luoghi le cui vite sono state un po’ stravolte dal boom del turismo. Si parla di feste organizzate in occasione della fine dei periodi delle vacanze come una “liberazione” e si lamenta come il rumore dei trolley abbia sostituito il suono dei campanili delle pievi. Insomma siamo al “Venezia è bella, ma non ci vivrei”, declinato in salsa lariana. E l’allarme lanciato dall’Unesco per la città lagunare che deve essere “tutelata” dall’eccesso di turismo, oltre che dai cambiamenti climatici (che peraltro fanno sentire i loro effetti anche dalle nostre parti) potrebbe magari in futuro riproporsi per il Lario. Sempre che nel futuro le cose vadano ancora così. Perché questo 2023 è stato l’anno record per le presenze, ma potrebbe anche rappresentare il culmine di una parabola prima di imboccare la china discendente. A meno che non si intervenga. Ma non è semplice, né immediato.

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