Turismo sul lago la lezione di Stendhal

Nei compianti anni ’80, quando il turismo languiva e il centro di Como, ad agosto, era deserto e punteggiato di cartelli “chiuso per ferie”, qualcuno aveva proposto di invitare un consulente da Rimini per spiegarci come si diventa attrattivi. Un’idea, a posteriori, nefasta e per fortuna mai applicata. Anche se, alla fine, l’imitazione della Riviera Romagnola si è affermata spontaneamente in termini di flussi.

Se oggi iniziamo a soffrire in modo rilevante del “dark side” del turismo, è anche per questo. Nessuno ha saputo — o voluto — gestire il fenomeno. È come un bel giardino: crescono i fiori, ma se nessuno lo cura, presto le erbacce diventano predominanti e anche le rose più belle o i tulipani più colorati spariscono. È ciò che rischia di accadere, o sta già succedendo, a Como e sul lago.

Sul quotidiano di oggi mettiamo in evidenza due situazioni emblematiche: l’ennesima giornata invivibile sulla statale Regina e l’assalto dei “buttadentro”, cioè coloro che cercano di convincere i turisti in coda per salire sui battelli (coda colossale nonostante sia un giorno infrasettimanale, anche se agostano) a scegliere i taxi boat.

Sarebbe un’attività vietata e sanzionabile dalla polizia locale, ma evidentemente il gioco vale la candela: il guadagno supera il rischio della multa che, peraltro, non è mai certa. Lo stesso discorso vale per i mezzi pesanti che continuano a transitare nelle strettoie della Tremezzina, nonostante divieti e controlli. Insomma, non se ne viene a capo. A monte di tutto c’è la vera questione: lo spazio non basta per tutti. Bisogna farsene una ragione, darsi una mossa e contrastare il fenomeno con provvedimenti mirati e un’azione corale delle istituzioni. Perché il troppo, prima o poi, stroppia. E allora, come in un giardino trascurato, restano solo le erbacce di un turismo massificato che lascia ben poco e danneggia il territorio.

A Como e sul lago, ormai, AC e DC s ignificano soprattutto prima e dopo Clooney. È stata la presenza costante della star hollywoodiana a Laglio il detonatore, amplificato dalla comunicazione digitale che ha promosso il nostro lago in tutto il mondo. Francamente, di tela da tessere i, n termini di paesaggi e testimonianze monumentali, ce n’era parecchia. Non è stato difficile attirare qui masse da ogni dove. Anche l’evoluzione di Milano ha fatto la sua parte: molti visitatori puntano sul capoluogo lombardo e inseriscono Como tra le mete di un giorno. Il risultato? Traffico, trasformazione del tessuto urbano ormai quasi del tutto convertito in case vacanza e B&B, incremento insostenibile dei prezzi degli immobili e del costo della vita quotidiana. Tutto chiaro, tutto noto.

Peccato che nessuno alzi un dito per evitare che la diga, a furia di riempirla, finisca per tracimare. E così si rischia di disegnare un solo modello possibile per il nostro territorio: quello del turismo d’élite, per pochi ricchi, fatto di alberghi a cinque stelle. Del resto, la lezione, come spesso accade, arriva dal passato.

Como e il suo lago erano tra le mete dei Grand Tour, che fino agli anni ’50 del secolo scorso rappresentavano l’unica forma di vacanza immaginabile: un privilegio riservato a ricchi e artisti, spesso sostenuti dal mecenatismo di nobili e signori, capaci di offrire soggiorni confortevoli poi raccontati nelle loro opere.

Stendhal amò molto il lago di Como, che descrisse come un luogo “sublime” e “incantevole”. Ma lui era uno scrittore, giocorforza con possibilità divulgative ben più modeste rispetto a quelle di una star come George Clooney. All’epoca erano pochi a conoscere questi luoghi meravigliosi, e ancora meno quelli che potevano permettersi di visitarli.Eppure quello era, aggiornato alla nostra epoca, il modello più adatto.

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