Vannacci, Salvini e la coperta corta

Se è vero, come sosteneva Giulio Andreotti, che a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca, viene da chiedersi cosa possa stare dietro la nomina del vituperato generale Roberto Vannacci a Capo di Stato maggiore delle forze operative terrestri dell’esercito. Com’è noto, sull’alto ufficiale pende un’inchiesta seguita alla pubblicazione del suo libro best seller che, con un eufemismo, si può definire “politicamente scorretto”. A rischio di punizione eppure gratificato con un’importante nomina? Un controsenso, in apparenza. Salvo che dietro ci sia qualcos’altro. Magari la volontà di impedire una candidatura del militare alle elezioni europee del prossimo giugno con la Lega. Anziché “promoveatur ut amoveatur” (premiato per essere rimosso) sarebbe un “promoveatur ut non candidatur” (con tante scuse a Cicerone per la storpiatura della sua lingua). Il ministro della Difesa, artefice della nomina di Vannacci è infatti Guido Crosetto, esponente di Fratelli d’Italia, e molto vicino al premier Giorgia Meloni. Insomma, se non tutto, magari qualcosa si tiene. Oltretutto la promozione avviene a ridosso dell’evento organizzato a Firenze dal leader della Lega, Matteo Salvini, con gli esponenti della destra europea più estrema, che non è quella tanto per intenderci di FdI e tantomeno dell’altro alleato di governo, Forza Italia.

La tattica del “Capitano” è talmente chiara che la capisce anche un bambino. Il numero uno del Carroccio vuole alle prossime europee, strappare consensi agli alleati di Fratelli d’Italia, approfittando anche del riposizionamento di Giorgia Meloni, che, forse più per forza che per amore, potrebbe favorire il bis di quella maggioranza Ursula che unisce le principali famiglie politiche della Ue (Popolari e Socialisti) e che ha governato nella legislatura che volge al termine. Bisogna dire che quelli di cui Salvini va a caccia potrebbero essere anche definiti, sempre chiedendo aiuto ad Andreotti, “voti in libera uscita”. Perché la Lega, sotto la sua guida aveva ottenuto, proprio alle ultime europee, un consenso record poi in buona parte migrato verso FdI anche a causa della strategia sbagliata di Matteo su pieni poteri ai tempi del governo Conte I e dell’appoggio leghista al governo Draghi, avversato dalla sola Meloni che su questa opposizione ha costruito la sua fortuna elettorale. Insomma, è il ragionamento del capo del Carroccio, se essere più a destra paga, tanto vale posizionarsi. Il rovescio della medaglia, però, è che queste mosse del leader possono giovare alla Lega in Italia, meno a Bruxelles e Strasburgo. Una crescita netta alle Europee, infatti, consentirebbe a Salvini di chiedere di contare ancora di più nell’esecutivo, o addirittura a pensare di scalzare Meloni dalla guida del governo. Ma, in mancanza di un successo (piuttosto improbabile) di tutte le forze sovraniste che conseguirebbero così la maggioranza, la Lega sarebbe condannata ancora a restare ai margini dentro la Ue, oltretutto con un numero di parlamentari inferiore a quelli attuali, frutto del grande risultato del 2019.

Questa eventualità è vista con una certa preoccupazione dalle forze economiche e sociali del Nord che, dell’Europa, qualunque essa sia, hanno bisogno e vogliono quindi essere rappresentate da chi è in grado di contare nel Parlamento e nella Commissione europea. Una preoccupazione che in parte sarebbe condivisa da esponenti leghisti vicini al capo. Non a caso forse, domenica a Firenze, è scattata una sorta di precettazione questa volta diretta non ai lavoratori del trasporto pubblico, ma verso i dirigenti del Carroccio, per dare l’idea che tutto il movimento segue la linea del capo. In realtà, Salvini, per placare questi malumori, starebbe pensando di chiedere a Luca Zaia, presidente del Veneto ed esponente molto apprezzato dal mondo economico e produttivo anche al di fuori della sua regione, di candidarsi come capolista al Nord Est. Bisogna vedere se la proposta sarà accettata. In caso contrario, il leader della Lega rischia di ritrovarsi con una coperta corta.

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