Vincere le europee non porta bene

Attenta Giorgia, perché vincere le elezioni europee non porta bene. I precedenti sono poco rassicuranti. Quando Matteo Renzi, sulla spinta degli ottanta euro elargiti ai lavoratori con i redditi più bassi, aveva toccato il 40%, non era stato per nulla rinforzato nell’azione di governo, anzi era cominciato il suo declino culminato con la sconfitta al referendum sulle riforme. Ancora peggio è andata, nell’ultimo giro, a Matteo Salvini, a cui il successo nella corsa per Strasburgo e Bruxelles aveva provocato un delirio di onnipotenza, con la richiesta di “pieni poteri” dallo stabilimento balneare “Papeete” di Milano Marittima culminato col la perdita anche di quelli che possedeva con la crisi di governo e il cambio di maggioranza dal Conte Uno gialloverde al Due giallorosso e il capitano scagliato all’opposizione.

In una meno recente elezione per l’Europarlamento, il successo della lista di Emma Bonino, l’aveva proiettata nella corsa al Quirinale con grandi aspettative poi rimaste tali. Nel voto nel 1985 si era registrato addirittura lo storico sorpasso del Pci sulla Dc, per effetto della drammatica fine quasi in diretta tv del leader di Botteghe Oscure, Enrico Berlinguer. Ma da lì in poi per il partitone rosso c’era stato un costante declino. Insomma si potrebbe dire che non solo le vittorie alle europee non aiutano in Patria. Ma in molti casi fanno pure male. E così sarà anche questa volta, per qualcuno, anche se magari non vincerà. Indiziato numero uno è ancora Salvini.

Non a caso il capo del Carroccio è sempre più agitato. Intorno a lui si rincorrono le voci di un golpe interno per mettere il presidente del Friuli, Massimiliano Fedriga, sulla sua poltrona. Potrebbe accedere se, come segnalano alcuni sondaggi, la Lega dovesse andare sotto il 7% e, soprattutto, essere superata da Forza Italia orfana di Berlusconi e guidata da Antonio Tajani con il suo “passo d’alpino”, lento, ma costante in salita. Per questo Salvini sta combattendo come un don Chisciotte qualunque battaglia che, nella sua visione, può portargli dei voti. E dato che, alle elezioni europee, vale più che mai il motto di Romano Prodi “competition is competition”, l’avversario di Matteo è il suo principale alleato, cioè Giorgia Meloni, con cui ha ingaggiato duelli sui trattori così come sul terzo mandato per i presidenti di Regione, un modo per tener tranquillo nel suo Veneto il doge Luca Zaia, il principale antagonista interno del segretario leghista. Dopo il 10 giugno potrebbe accadere di tutto, anche un “Papeete due” della disperazione che rischierebbe di riportare il paese alle urne.

E a questo forse sta pensando anche Meloni per prendersi tutto il piatto e far viaggiare con l’Alta velocità la sua riforma per il premierato che potrebbe portarla a qualsiasi traguardo istituzionale. Ma anche il premier, che ancora rigira tra le mani il teschio con il dilemma sull’eventuale candidatura di bandiera il 9 giugno (alla fine scenderà in campo), dovrà consolidare il suo consenso, cosa non così facile visti i tanti problemi del governo e una manovra economica che non ha portato gran che nelle tasche degli italiani. E non sarà forse un caso che, nei giorni scorsi, il presidente del Consiglio ha stretto un accordo con la leader dell’opposizione Elly Schlein sulla politica estera per la guerra a Gaza, alle spalle degli alleati. Del resto, “simil stabunt”. Perché anche il destino della segretaria del Pd è legata all’esito delle europee. Che dovrebbe peraltro, solo determinare gli equilibri continentali. Invece…

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