Il turismo allontana i residenti. Como, il rischio è l’effetto Venezia

La nuova città Alloggi introvabili, servizi decentralizzati, e poi le scuole e la crisi dei posteggi. E il Comune, intanto,vuole potenziare ancora l’attrattività

Asili (e scuole) che chiudono, posteggi che scompaiono, mono e bilocali destinati esclusivamente al mercato turistico, decentralizzazione dei servizi, omologazione del commercio. Esiste un rischio – fatte le debite proporzioni – di una “venezianizzazione” della città?

La risposta è sì, e per rendersene conto basta guardarsi attorno e contare le decine, centinaia di lucchetti a combinazione (in gergo detti “masterlock”) che contengono le chiavi degli alloggi destinati ai turisti. In centro storico se ne trovano dappertutto, ma le segnalazioni ormai si moltiplicano anche nei quartieri, visto che a Como tutto «è a dieci minuti dal centro», come riportano gli avvisi su portali quali booking o airbnb (per la cronaca, il weekend di Pasqua in città murata è venduto a cifre che variano tra i 700 e i 2000 euro a coppia). La sintesi è che trovare mono e bilocali per un affitto residenziale, essendo quelli che meglio si prestano alla locazione turistica, è impossibile.

La situazione generale

Non c’è gara se la scelta è tra lo stipulare un contratto d’affitto a 600 euro al mese o guadagnarne altrettanti in tre notti, salvo poi moltiplicare le tre notti per dieci, quantomeno nei periodi di maggiore afflusso.

Studenti, docenti con incarichi a tempo, medici o infermieri; chi può lavora da pendolare, chi non può rinuncia a lavorare in città (e nel caso del personale sanitario, per gli ospedali, il problema è serissimo). Per non dire degli “ultimi”, dei senzatetto, oppure degli stranieri che cercano un’occasione, magari proprio con un impiego stagionale nella ristorazione: «Da dopo Lucini l’urbanistica si è fermata, zero pianificazione – dice Patrizia Maesani, ex assessore, avvocato nonché volontaria attiva proprio sul fronte dell’accoglienza -. Trovare abitazioni in affitto è impossibile, non solo per le persone in difficoltà. È pazzesca la velocità con cui la città ha cambiato pelle, questo “spontaneismo” economico ha introdotto storture cui sarà difficile porre rimedio». I comaschi se ne vanno, dice ancora l’ex assessore, e la città murata diventa un centro commerciale, peraltro interamente vocato allo shopping di tipo turistico. Anche mettendosi di buzzo buono, è sempre più difficile ricordare negozi che, entro le mura, servano davvero la residenzialità: niente più case del formaggio, niente più case della carta, niente più passamanerie, niente più botteghe a conduzione familiare; il commiato recente dei casalinghi Pusterla di via Indipendenza, soppiantato dall’ennesimo negozio di abbigliamento, ha avuto davvero il sapore dell’atto che chiude il sipario. D’altra parte resistere è impossibile, anche volendo. Gli affitti sono troppo alti, come conferma Flavio Bogani, titolare della Bottega del colore, che cinque anni fa lasciò la città murata per l’attuale collocazione in via Milano. Il motivo? «Presto detto. Avremmo dovuto rinnovare il contratto con un raddoppio netto del canone». Nel caso di Bogani, cercare altre soluzioni entro le mura si rivelò impossibile; già prima del Covid, 40 metri quadrati di superficie commerciale in via Bernardino Luini valevano 12mila euro d’affitto al mese. E oggi chissà.

I numeri dicono che soltanto a Como sono attivi circa 1.200 annunci online per camere e appartamenti, una cifra che in provincia sfonda il tetto di quota 10mila. I dati ovviamente non tengono conto dell’offerta sommersa - che pure una quota di mercato la assorbe - e confermano il sorpasso ormai consolidato dei pernottamenti nelle strutture extra alberghiere a discapito di quelle alberghiere. Il tema è enorme: la scelta di razionalizzare la sosta dei residenti non aiuterà, così come in generale sono pericolose tutte le scelte - in tema di scuole, servizi, commercio - che non tengano conto delle esigenze della cittadinanza, come evidenzia Marco Borghi, presidente della municipalità di Venezia, Burano e Murano, uno che di questi “drammi” può ben dire di intendersi.

Ne fa una questione di pianificazione l’avvocato Lorenzo Spallino, lui pure ex assessore, in questo caso con delega all’Urbanistica nella giunta Lucini, nonché “padre” dell’attuale Piano di Governo del Territorio: «Parlare di concentrazioni delle funzioni pubbliche nelle ex Caserme e di riorganizzazione dell’offerta scolastica attraverso la realizzazione di campus senza porre attenzione al “dopo” degli immobili dismessi è miope, come miope è subire la trasformazione delle residenze in bed&breakfast e non chiedersi se davvero valga la pena ridurre, e non invece implementare, le politiche di sostegno alle nuove residenze in termini di servizi offerti. Il sospetto è che non ci sia nessun disegno e che, consci di non averlo, non ci si ponga neppure il problema di darselo».

Le scelte del palazzo

E il Comune? Nel documento unico di programmazione per il triennio 2024/2026 (consultabile sul sito dell’amministrazione) si parla, ovviamente, anche di turismo, ma facendo più che altro riferimento all’intenzione di potenziare la vocazione del capoluogo, intensificando e migliorando la qualità dei servizi anche come forma di risposta al fenomeno dell’overtourism, visto più come moloch da sfamare che come spauracchio da scongiurare (si parla testualmente di «iniziative ed azioni volte a potenziare la vocazione turistica della città e a rafforzare la competitività e l’attrattività a livello nazionale e internazionale della “destinazione Como”»).

L’anagrafe, intanto certifica che in 40 anni i quartieri centrali (centro storico e zona ovest) hanno perso circa il 22,5% della popolazione residente, passata da quota 14.692 (1981) a quota 11.383 (fine 2022, ultimo dato disponibile). Il trend non è ovviamente ascrivibile in toto all’azione erosiva del turismo di massa, ma prima o poi potrebbe diventarlo. Lo dice la storia di tante altre città, turistiche come la nostra.

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