Elio De Capitani: «In scena per due ore un romanzo infinito»

L’intervista Regista e interprete dell’impegnativo “Moby Dick alla prova”, spettacolo in programma questa sera al Sociale di Como

Como

«Vedrete uno spettacolo “totale”, che porta in scena, in poco più di due ore, il romanzo infinito di Herman Melville».

Con un entusiasmo contagioso, Elio De Capitani presenta “Moby Dick alla prova”, la pièce in programma, stasera, martedì 16 aprile, alle 20.30, al Teatro Sociale di Como, per il ciclo Prosa Off. Vedremo in scena l’adattamento teatrale, realizzato nientemeno che da Orson Welles, del capolavoro letterario. Si tratta di un testo in versi sciolti, tradotti, per questa coproduzione Teatro dell’Elfo e Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, da Cristina Viti. La regia è dello stesso De Capitani che poi, sul palco, si fa letteralmente in quattro, interpretando il Capocomico, Lear, Achab e Padre Mapple. I costumi sono di Ferdinando Bruni, le maschere di Marco Bonadei. Michele Ceglia firma le luci, mentre Gianfranco Turco cura i suoni. Le musiche dal vivo sono di Mario Arcari e Francesca Breschi. Il cast è molto importante. Ne fanno parte Cristina Crippa, Angelo Di Genio, Marco Bonadei, Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Massimo Somaglino, Michele Costabile, Giulia Viana, Vincenzo Zampa. I biglietti costano 20 euro più prevendita (10 euro più prevendita per gli under 18) e sono in vendita on line sul sito www.teatrosocialecomo.it e in biglietteria. Info sul sito e allo 031-270170.

De Capitani, cosa significa portare in scena “Moby Dick alla prova”?

È un’emozione grande, un’avventura corale, una fatica inenarrabile ma anche una soddisfazione continua. Ogni sera, il pubblico ci sommerge di “grazie”. Uno spettatore, a Bari, ha esclamato «Ci avete ridato il teatro!». .

Portate in scena la rilettura di Orson Welles…

Sì. Questo lavoro fu per Welles una grande gioia. Lo spettacolo andò in scena, per la prima volta, a Londra, nel 1955. È un lavoro per le scene che contiene tante cose: si parte da Re Lear di Shakespeare, per arrivare a Moby Dick. Per chi non conosce la messinscena, ricordiamo che Welles, utilizzando l’espediente del teatro nel teatro (come aveva già fatto Pirandello nel dramma “Sei personaggi in cerca d’autore” ndr), immagina una compagnia che sta provando “Re Lear” di Shakespeare. L’impresario però sopraggiunge e chiede di cambiare testo, scegliendo Moby Dick di Melville. A parte questo, lo spettacolo, pur costruito con pochi elementi scenici, è “pieno” di tante cose. L’immaginazione del pubblico viene stimolata a tal punto che tutti “vedono” tutto: la caccia, il mare, il capodoglio, la nave di Achab. Ci si collega ad un immaginario atavico, in modo semplice ma profondo.

Parliamo di Achab, personaggio affidato alla sua interpretazione. Quale fascino esercita ancora su di noi?

Achab è una figura molto contemporanea. Rappresenta quel lato oscuro del grande Sogno Americano, che ritroviamo anche in “Citizen Kane” (Quarto potere ndr), il film del ’41, girato proprio da Welles. “Moby Dick alla prova”, scritto e rappresentato dieci anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, è un ammonimento di Welles, per far capire che il potere nero non era solo un problema dell’Europa.

Il testo è in versi sciolti che nello spettacolo sono tradotti da Cristina Viti. Quale il risultato?

Il lavoro di Cristina è un grande valore aggiunto. Lei è una poetessa in lingua inglese e traduttrice dall’italiano all’inglese. Profonda conoscitrice di Melville, con la sua capacità di versificazione ha conferito al testo una notevole ricchezza di lessico, che però non risulta accademico o artificioso.

Emerge la coralità degli attori…

Il cast è fondamentale, un grande cast, composto da individualità potenti che danno il meglio di sé insieme. Abbiamo avuto però anche un altro alleato. Le prove dello spettacolo avvennero nel secondo lockdown. Paradossalmente, chiusi in una bolla, per tre mesi, abbiamo fatto un viaggio profondo, nel mare del teatro, per emergerne più forti. Una magia.

Per lei, la tappa comasca ha un significato speciale?

Mia madre era di Menaggio e devo tanto al lago. Recitare al Sociale sarà un po’ come tornare a casa.
Sara Cerrato

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