Plinio e il Vesuvio: la strada della verità

Storia Pedar W. Foss dà alle stampe, negli Stati Uniti, l’opera che lo ha impegnato una vita: testo magistrale. In evidenza il riscontro dell’eruzione nel mondo romano. Tra gli studiosi citati, il comasco Giorgio Luraschi

Sono rare le opere che uniscono un’alta scientificità con una gradevolezza alla lettura, tale da renderle avvincenti come un romanzo giallo, e a tratti entusiasmanti come un libro di avventure. Una di queste è dedicata ai due Plinii, ed è stata pubblicata proprio in tempi di celebrazioni, e riflessioni.

Pedar W. Foss, ordinario di archeologia e storia antica presso la piccola ma prestigiosa università statunitense De Pauw, in Indiana, ha dato alle stampe le fatiche di una vita, “Pliny and the Eruption of Vesusius” (Routledge). Si tratta di una magistrale interpretazione, o piuttosto messa a punto, delle vicende congiunte dei due Plinii, che comprende anche la nuova traduzione ed esegesi delle due fondamentali lettere del Giovane, a Tacito, ove narra delle vicende della morte del celebre zio, e dell’eruzione del Vesuvio.

Tradizione manipolatrice

La storia antica, o classica – che va dalla nascita di Roma e dal suo primo re, quasi leggendario, fino alla caduta dell’Impero romano d’Occidente nel 476 d.C., una vicenda dunque di quasi 1200 anni, età che par propria ai grandi imperi, da quello d’Oriente a Venezia, entrambi deceduti però di cent’anni più giovani rispetto al loro modello –, è fondamentalmente divergente da quella medievale ma soprattutto dalla moderna e contemporanea per la scarsità a volte desolante delle fonti, e per la lunga, contorta, spesso manipolatrice tradizione della loro elaborazione, lettura, riscoperta e adattamento tra Medioevo e Prima Età Moderna: cosa che vale non solo ovviamente per la “Naturalis Historia” del Vecchio, ma anche per le “Epistulae” del Giovane.

Foss mostra bene come arduo sia il cammino per stabilire, innanzi tutto, l’effettualità degli eventi narrati, il “come è effettivamente avvenuto” di Leopold von Ranke, “wie es eigentlich gewesen ist”: ma questo è il compito proprio dello storico, almeno degli storici seri e non dei cantastorie contemporanei, alcuni anche presenti nelle università (purtroppo). Ma nel caso nella storia antica, non solo il “come” è problematico, ma anche il “quando”.

Utilizzando non solo codici e narrazioni, ma i più sofisticati strumenti della vulcanologia e della geologia, Foss stabilisce in modo definitivo, ad esempio, la data dell’eruzione epocale del Vesuvio, il 24 e 25 agosto del 79 d.C. Per lungo tempo, secoli, questo non fu chiaro, anche perché non di questi particolari si interessava – se non marginalmente – la storiografia del tempo, quell’annalistica politica alla Tacito tutta intesa, con grave danno a lungo raggio per tutta la storiografia, a discettare solo su eventi politici, e a mettere in appendice ai capitoli quelli “straordinari”: terremoti, epidemie, e appunto, ogni tanto, eruzioni. Due giorni. Che hanno cambiato il mondo? Forse no, ma certamente ne hanno scosso, e parecchio, l’armonia raggiunta: un Impero consolidato e in via di ulteriore espansione, fino all’inizio della sua decadenza, un secolo o quasi dopo, con la fine di Marco Aurelio e la massima espansione dell’Impero raggiunta (a fatica).

Una singolare dualità attraversa il libro: Plinio il Vecchio che eroicamente muore nel tentativo di salvare i civili – una delle prime operazioni non belliche ma umanitarie della Marina “italiana”, come ha ben mostrato l’ammiraglio Domenico Carro – e Plinio il Giovane che costruisce un mito, attraverso la ricostruzione degli ultimi giorni dello zio, non solo di costui, ma anche di sé stesso, come scrittore, e della propria stirpe, nobile ma non nobilissima, di una sorta di patriziato di provincia.

Patriziato legato a Como, qui abbondantemente presente, con una rassegna benemerita delle iscrizioni pliniane, e della storia di Novum Comum, che dalle carte del I sec. d.C. appare, alla fine, tremendamente simile a quella di oggi, con una città murata che par la stessa del 2023.

Commuove vedere qui il nome di Giorgio Luraschi, mai dimenticato Maestro – d’umanità, insieme al sapere – e tra i Padri Fondatori dell’Ateneo insubre, ma non poteva essere altrimenti, date le importantissime ricerche del medesimo sulla Como “romana”, tale non sempre a vantaggio dei comaschi. Poi, la dualità si estende: due Plinii, due giorni di eruzione, due città coperte, ma non cancellate, Ercolano e Pompei, ma anche due testi fondamentali, la Naturalis Historia dell’uno e le Epistulae dell’altro, che si intrecciano e inseguono, alla fine, in percorsi filologici veramente peculiari. Poi, stimolati da Foss, possiamo estendere questa dualità, nel duale di un mondo che si stava perfezionando, l’Impero, e il mondo cristiano che stava emergendo – e si leggano le profonde e profetiche pagine dedicate dal Vecchio alla Divinità – ma anche nella dualità tra Como e Roma, tra la potenza marittima e quella terrestre dell’Impero, tra orgoglio dello Stato e strapotere della Natura, ma anche tra ricordo ed oblio. La notizia dell’eruzione giunge in ogni angolo dell’Impero. Ma si accetta il volere degli dèi, o del Dio unico che si stava affermando, silenziosamente, ma inesorabilmente.

Paolo di Tarso era morto da oltre dieci anni, alla data dell’eruzione. Ma la sua scuola era nata, e inesorabilmente si stava affermando. Paradossalmente, la sua fama sarà a lungo maggiore rispetto a quella del suo contemporaneo Plinio. Eppure, così diversi, entrambi saranno protagonisti della propria epoca, e Paolo avrebbe interpretato l’eruzione del Vesuvio in modo diverso, sicuramente, rispetto a Plinio il Giovane. Ma, per lungo tempo, se non per l’ipotizzato incontro tra Paolo stesso e Seneca, questi due mondi non si parlarono. Forse.

Elaborazione poetica

Il mondo romano elaborò poeticamente il disastro, anche forse per esorcizzarne i tratti di cattivo presagio. Dobbiamo a Marziale versi splendidi (Epigrammi, 4,44), che Foss analizza, e che qui io ri-traduco: «Il Vesuvio ora è questo, poc’anzi era all’ombra di pampini verdi/Poc’anzi, qui l’uva nobile dava, e moltissimo, il vino…/Colli cari questi a Bacco più di quelli di Nisa/Ove i Satiri si davano alle danze/E amava più di Sparta Venere proprio queste cime/E qui Ercole aveva splendido un suo culto/E ora…ora tutto è in tristi fiamme, incenerito/Si dolgono gli dèi: “Oh non fosse mai stato questo consentito!».

Ma poi per lungo tempo non ci si peritò di andare alla ricerca delle città sommerse dalla cenere. Ci vollero quasi sette secoli, per ripensare a loro. Nel frattempo si crearono diversi miti, dal coraggio pliniano, vero uomo del Rinascimento, e protocristiano senza saperlo, al “sublime” naturale, speculativamente fissato da Burke e Kant nell’epoca dei Lumi, ed eternato nel vulcano. Anzi, di nuovo, nei “due” vulcani italici, spesso confusi poi in letteratura (per portare un solo esempio, la Olive Schreiner, scrittrice sudafricana di eccezionale talento, che nel 1883 pubblica il suo capolavoro, “The Story of an African Farm”, ove il Vesuvio è comicamente confuso con l’Etna…).

Pedar Foss ci ha mirabilmente ricordato come dalla Storia si dipanino infinite storie, tutte degne di attenzione, mai noiose, se scientificamente approcciate, ponendosi le giuste domande e possedendo i mezzi intellettuali per rispondere ad esse.

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