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Mercoledì 24 Settembre 2025
Uno, due, tre: la storia di Hulk Hogan
Profili A due mesi dalla scomparsa del wrestler, gli eventi cruciali che lo hanno portato all’apice negli USA. Un uomo che ha toccato il cielo e poi il baratro più profondo: non è mai uscito vinto da avversari e debolezze
“Larger than life” è un’espressione statunitense utilizzata per indicare qualcosa di incredibile, fuori dal comune. Terrence Eugene Bollea, noto al grande pubblico come “Hulk Hogan”, lo è sicuramente stato. Solo negli Stati Uniti uno spiantato bassista turnista della Florida con la passione per il body building, che avrebbe avuto la possibilità di suonare per i Metallica - “Ero grande amico di Lars Ulrich, ma la cosa non funzionò” - può diventare il più acclamato sostenitore nell’ultima campagna che ha portato Donald Trump a tornare presidente. Il condizionale non è stato usato a caso perché Urlich quel bassista biondo col fisico da bronzo di Riace proprio non se lo ricorda.
Questa è una delle tante storie, diventate leggende, legate a un uomo che ha toccato il cielo con un dito e poi il baratro più profondo. Un uomo fallace, messo al tappeto più volte, che ha sempre rifiutato di arrendersi. Ha lottato contro gli avversari e contro le sue debolezze e ne è uscito ammaccato, mai vinto.
Storia
Era la fine degli anni Settanta quando venne notato dai fratelli Brisco e mandato ad allenarsi con Hiro Matsuda. I due ci avevano visto lungo, quel gigante biondo di origine italiana - il nonno era nato a Cigliano, provincia di Vercelli - non aveva solo un fisico statuario, ma possedeva pure un carisma fuori dal comune. Iniziò così la carriera nel wrestling di Terry Bollea, ben presto diventato Terry Boulder, membro della coppia “The Boulder Brothers” assieme al suo, un tempo, amico fraterno Ed Leslie, conosciuto sui ring col nome di Brutus Beefcake.
Durante un’apparizione televisiva per promuovere un evento in Alabama, il presentatore notò che Hogan era molto più grosso di Lou Ferrigno - ai tempi star della tv nel ruolo dell’incredibile Hulk - e gli fece guadagnare il soprannome di “The Hulk”. Che sia leggenda o verità poco importa. Il passaggio da Terry “The Hulk” Boulder a “The incredibile” Hulk Hogan avvenne su intuizione di Vince McMahon senior, a seguito del suo arrivo nell’allora WWF, oggi WWE. L’idea fu quella di trasformarlo in un wrestler irlandese e McMahon propose a Hogan di tingersi i capelli di rosso, ricevendo un netto rifiuto. “Sarò un irlandese biondo”, l’epica risposta. La popolarità di Hogan crebbe in maniera esponenziale, tanto da ricavargli una piccola parte anche in “Rocky 3”. Era la prima metà degli anni Ottanta e stava nascendo quel fenomeno chiamato “Hulkamania” che lo portò a essere il primo wrestler sulla copertina di “Sport Illustrated”, a diventare protagonista di cartoni animati e una vera e propria miniera d’oro del merchandising.
Tutto cominciava con le note di “Real american”, l’ingresso nel ring osannato dal pubblico, il carisma quasi mistico. Partiva così il rito pagano in cui Hogan diventava l’eroe americano, quello che non perdeva mai. Il pubblico lo sapeva, lo vedeva barcollare, quasi cedere e poi, a un passo dal baratro, risorgere. La carica della folla lo spingeva, arrivava l’Hulking-up, poi il classico “big boot” e infine il “running leg drop” che chiudeva la contesa.
Uno, due, tre.
Era il periodo in cui predicava i suoi tre comandamenti - “allenati, prega e prendi le vitamine” - e poco importa che lui non prendesse vitamine, ma steroidi. Negò per anni, fino a che non ebbe l’immunità, poi ammise. Nella metà degli anni Novanta, quando lottava per la WCW e la sua popolarità era ai minimi, fece quello che nessuno si aspettava da lui, si trasformò in “Hollywood” Hogan, creando - insieme a Kevin Nash e Scott Hall - il “New World Order”. L’Hogan oscuro durò un paio d’anni, poi tornò la WWE e “The immortal” Hulk Hogan, ma la questione steroidi aveva intaccato il mito. Il gigante dai piedi d’argilla stava per crollare, la vita era pronta a presentare il conto a quello che un tempo veniva ritenuto immortale.
I tradimenti e il primo divorzio, un figlio arrestato a seguito di un incidente stradale in cui guidava ubriaco, le accuse di razzismo dopo aver criticato la figlia perché frequentava un uomo di colore - derivanti da un audio rubato, anche se i suoi colleghi mai notarono questa cosa - fino ad arrivare al “caso Gawker”. Nel 2012 il celebre sito di gossip americano diffuse un video privato in cui Hogan faceva sesso con la moglie del suo amico Bubba “The Love Sponge”. Il video era del 2006, moglie e marito consenzienti, ma lo scandalo lo travolse comunque. Hogan fece quello che gli riusciva meglio nella vita, combatté e vinse. Ancora una volta aveva sconfitto i cattivi e pazienza se non aveva più il fisico per schiantare colossi come “Andre the giant”, come accadde a Wrestlemania III nel 1987. Hogan aveva lottato per un diritto più grande, la difesa della propria privacy; nel 2016 ottenne un risarcimento milionario che portò alla chiusura del sito.
Gli ultimi anni sono stati segnati da poche apparizioni e tanti spifferi sulle sue condizioni di salute. Era già malato quando fece l’endorsement per Trump. A gennaio era diventato nonno ma non aveva mai visto i nipotini a causa del burrascoso rapporto con la figlia. Poi, lo scorso 24 luglio, un infarto ha spento la vita di quello che un tempo veniva considerato immortale. Uno. Due. Il pubblico si aspettava l’ennesimo “Hulking-up”, l’ennesima resurrezione. Tre.
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