Voci dal Sudan, ai confini della più grave crisi umanitaria al mondo

Matteo Perotti, missionario comasco, vive in Africa da tempo e conosce chi scappa dalla peggior crisi al mondo

Indipendente dal 2011, il Sud Sudan è un Paese attraversato da una lunga crisi economica e messo alla prova da un’instabilità politica costante, ma è anche un osservatorio di confine sulla più grave crisi umanitaria attualmente in corso nel mondo: quella del Sudan. Lo racconta Matteo Perotti, comasco che da più di un decennio ha spostato la sua vita in Sud Sudan, prima a Wau e ora a di Bentiu, a 750 chilometri da Khartoum, la capitale del Sudan dove nel 2023 è scoppiata una violenta guerra civile tuttora in corso.

«Una madre è morta all’ingresso del campo profughi Ma ha salvato i figli»

Morti, profughi e pulizie etniche

Oltre alle centinaia di migliaia di morti degli ultimi due anni e mezzo (è difficile fornire un numero specifico delle vittime causate dalla guerra sudanese perché la pericolosità del conflitto ha sempre reso difficile l’accesso di Ong e organismi internazionali), ci sono anche 12 milioni di persone sfollate, sia internamente al Sudan che esternamente, molte in Sud Sudan.

«Occorre distinguere tra i rifugiati, persone in fuga dalle violenze dei due schieramenti militari sudanesi, i returnees, sud sudanesi che fanno ritorno in patria, e gli sfollati, che ci sono anche all’interno del Sud Sudan per via della gravissima povertà e delle pesanti alluvioni di cui il Paese è vittima soprattutto in questa stagione, che sta per finire, che è la stagione delle piogge» racconta Perotti. Spiega poi la genesi prettamente militare della guerra civile in corso in Sudan, la prima scoppiata nel centro del Paese, proprio nella capitale Khartoum nel 2023 (molte altre ce ne sono state, ma quasi sempre nelle aree più periferiche dell’enorme Stato che è grande circa sei volte l’Italia) con continue pulizie etniche in corso.

«Tante violenze indescrivibili di cui ho sentito nei monti Nuba»

«Bentiu, dove mi trovo per aiutare nell’organizzazione della nuova Diocesi, nata da un anno circa, confina con il Kordofan e la regione dei monti Nuba dove si trovano milizie militari che si sono alleate con le forze dell’Rsf (le forze paramilitari di supporto rapido, in guerra dal 2023 con l’esercito sudanese, ndr)... a fine maggio sono stato personalmente nei monti Nuba, era iniziata da poco l’alleanza tra queste milizie locali indipendenti e l’Rsf e ho saputo di molte violenze, terribili, alcune registrate anche in video che però non si vuole vengano divulgati perché questi gruppi paramilitari hanno il timore di passare per i cattivi...». Ma il concetto di buoni e cattivi se applicato alla guerra in Sudan rischia di confondere le idee. Due le forze militari, l’esercito nazionale e le Rsf appunto, che si scontrano da più di due anni facendosi la guerra, ma, soprattutto, facendola ai civili.

E dall’altra parte le alluvioni

E così il numero di profughi in Sud Sudan è cresciuto notevolmente, soprattutto nei campi di accoglienza situati al confine. «Sono spazi creati dalle agenzie Onu che non riescono a entrare in Sudan, per la brutalità estrema della guerra in corso». Perotti alcuni di questi profughi li ha incontrati e racconta delle terribili condizioni in cui si trovano quando varcano la soglia del campo. «Ho visto una madre arrivare spingendo in avanti tutti i propri figli, avevano camminato per centinaia di chilometri, soffriva di diabete e aveva finito l’insulina già nei primi giorni di fuga.È arrivata fino all’ingresso del campo, ci ha spinto dentro i figli e poi lì è morta». Sono persone a cui viene tolta ogni cosa nel corso del viaggio: «Partono con un sacchetto con i loro pochi averi ma di posto di blocco in posto di blocco, perdono tutto».

E intanto gli aiuti all’interno dei campi sono a rischio di diminuire in maniera drastica, dopo che Trump ha sospeso le attività dell’Usaid, l’agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale, fondamentale tanto per il Sudan quanto per il Sud Sudan. Sud Sudan dove, mentre i profughi continuano ad arrivare in condizioni disperate, imperversa la stagione delle piogge che peggiora la già grave situazione sanitaria del Paese e di chi fugge dal vicino Sudan, dove estese epidemie di colera martoriano la popolazione. «A Bentiu - prosegue Perotti - c’è un campo profughi di 120mila persone e non tutti sono sudanesi, molti sono sfollati interni del Sud Sudan rimasti senza casa dopo la guerra civile o per via delle inondazioni». E nonostante il sovraffollamento del campo, il comasco racconta come molti servizi siano più facili da trovare lì che in città.

Peggiora nel frattempo anche la crisi economica del Sud Sudan dove, nonostante un cambio stabile dopo tanti anni di instabilità, l’inflazione continua a flagellare la moneta locale portando, per esempio, una semplice cipolla a costare 2 dollari (per stipendi che mediamente oscillano tra i 5 e i 20 dollari mensili).

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