La crisi energetica tocca anche il Ticino: «Le imprese sono già allo stremo»

Intervista La preoccupazione del presidente di GastroTicino, Massimo Suter, davanti all’improvvisa impennata dei costi: «C’è una grande incertezza, nel mio ristorante abbiamo addirittura spento il forno della pizza per risparmiare»

«La situazione è davvero preoccupante. Inutile e forse controproducente girare attorno al problema». Con il consueto pragmatismo, il presidente di GastroTicino nonché vicepresidente di GastroSuisse, Massimo Suter, delinea il perimetro della crisi energetica che si sta facendo anche nel Cantone di confine sempre più pressante e che, esempio calzante, vede il Ticino dipendente in toto dalla vicina Italia per la fornitura di gas naturale.

Nell’intervista con “Frontiera” di qualche mese fa si era detto preoccupato per la situazione di “profonda incertezza” che la crisi energetica stava generando. Com’è oggi la situazione?

«La crisi energetica, con annessi rincari, è un dato di fatto. Per diretta conseguenza, la situazione di “profonda incertezza” è aumentata a livello esponenziale. Il “caro energia” si sta facendo sentire in modo molto marcato, mettendo in seria difficoltà parecchie strutture ricettive, soprattutto in quel segmento dell’hotellerie in cui il soggiorno contempla anche la possibilità di accedere - ad esempio - a spa, saune e servizi analoghi».

Per quanto concerne il suo ristorante di Morcote - peraltro molto conosciuto -, è già stata presa una misura per fronteggiare il “caro energia” che ha avuto ampia eco.

«Sì. Abbiamo deciso di spegnere il forno della pizza all’interno di una serie di contromisure adottare per affrontare i rincari energetici che si vedono e soprattutto si notano con il passare delle settimane. Il tutto nasce da un’analisi del menù. La pizza non rientrava tra i piatti in questo periodo più gettonati. E così abbiamo deciso al momento di depennare la pizza, spegnendo il forno e risparmiando così quegli 11 kilowatt all’ora che il forno consumava. In attesa di poter rimettere in carta la pizza dalla prossima primavera. C’è comunque un’ampia gamma di piatti su cui puntare in questo periodo autunnale».

Se l’aspettava una crisi così importante e un annesso rincaro così marcato delle bollette?

«Obiettivamente credo che nessuno si aspettasse, dopo due anni di pandemia, di dover fronteggiare un’altra emergenza di queste proporzioni. Obiettivamente non c’erano segnali che facessero pensare ad un simile epilogo. Siamo stati tutti colti di sorpresa. Il discorso vale per noi operatori del settore, ma anche per il mondo economico in generale. E aggiungo che neppure il mondo politico si aspettava di confrontarsi con una simile crisi energetica. Il problema è duplice perché da una parte ci si deve confrontare con i rincari e dall’altra con la possibilità di tagli alle forniture, ricordando che per il gas naturale il Ticino è totalmente dipendente dal vostro Paese. I prossimi saranno mesi cruciali e le premesse, pur senza enfatizzare le attuali dinamiche, non sono troppo rassicuranti, in primis per il nostro settore».

C’è una prima stima di quanto lo tsunami dei rincari energetici abbia inciso sul comparto della ristorazione?

«E’ una situazione tutta in divenire. Al momento siamo nell’ordine di un 20% in più di costi. Un dato percentuale destinato ad aumentare in quanto le nuove tariffe si attestano all’interno di una forbice che oscilla tra il +30 ed il +35%. Mettiamola così: i prossimi mesi metteranno a dura prova sia i nervi che le finanze del nostro settore. Per dare un riferimento diretto se fino al mese scorso le spese energetiche incidevano per una cifra pari - ipotizzo - a 100 mila franchi oggi devo mettere a bilancio circa 300 mila franchi.

Il problema - perché è di problema che si parla - si amplifica inevitabilmente per i grandi consumatori, quelli che in Svizzera si rivolgono al libero mercato e che per decenni hanno approfittato di costi molto concorrenziali ed ora si trovano a far fronte con un aumento pari a 10 volte i valori precedenti. Stiamo parlando di fatture contenenti numeri improponibili che metteranno a rischio l’esistenza stessa di molte aziende».

Ha anticipato la domanda. Teme chiusure a fronte di questo nuovo tsunami?

«E’ un tema che sta venendo avanti. Al momento c’è ancora massima prudenza sul tema chiusure. Ad oggi possono confermare che si saranno - questo sì - chiusure anticipate, cioè strutture che anticiperanno la fine della stagione pur avendo i requisiti - al netto ovviamente dei rincari energetici - per tenere aperto. C’è già chi ha chiuso e chi ha rinunciato all’apertura dodici mesi, tema che so essere d’attualità anche sul lago di Como, considerato che tra gli obiettivi del vostro lago c’è quello di riprendere il filo del discorso con la destagionalizzazione dell’offerta turistica. Ho letto che anche da voi ci sono alberghi e attività che hanno deciso di chiudere prima per arginare l’avanzata dei rincari. Questo per dire - come più volte ribadito anche al vostro giornale - che le nostre sono realtà per tanti aspetti speculari. Aggiungo anche un altro aspetto e cioè che nelle zone di montagna - da quel che si sente - c’è chi rinuncerà anche ad aprire. Ciò purtroppo significherà ridurre l’offerta turistica».

E significherà anche rinunciare a posti di lavoro.

«Proprio così. E’ un altro aspetto - non meno importante - di questa intricata vicenda. Le “non aperture” contribuiranno poi a ridurre la concorrenzialità turistica della regione di riferimento a beneficio di una o più regioni. Questa è una legge di mercato, cruda finché si vuole, ma attuale e non preventivabile sino a qualche mese fa. C’è anche un aspetto che va rimarcato e cioè che i rincari incidono per le aziende, ma anche per i clienti, che inevitabilmente dovranno in molti casi ridurre il loro potere d’acquisto. Tema questo che rientra nei segnali poco incoraggianti che menzionavo poc’anzi».

La politica cosa può fare per aiutare (anche) le imprese?

«Può sicuramente aiutare a tamponare questa avanzata imperiosa dei costi energetici, mettendo dei tetti ai prezzi. Serve tornare al passato in quel regime di normalità che ci ha permesso di ripartire dopo i mesi duri della prima e della seconda ondata di contagi. La politica può anche dare un ulteriore taglio alla burocrazia e mi riferisco all’iter per accedere al lavoro ridotto (l’omologo della nostra cassa integrazione, ndr). C’è una differenza sostanziale però tra il passato (emergenza Covid) e il presente (rincari energetici) e cioè che se per fronteggiare l’emergenza Covid sono giunti aiuti economici che hanno compensato le perdite, per questa nuova crisi non vi saranno aiuti statali. Fermo restando che il pensiero va in primis a chi ha perso la vita durante la pandemia».

A proposito di lavoro, i dati diffusi dall’Ufficio di Statistica cantonale dicono che i frontalieri anche nel terzo trimestre hanno fatto segnare in Ticino un segno “più marcato”. I permessi “G” attivi in Ticino sono a un’incollatura da quota 78 mila. Qual è la sua chiave di lettura?

«Mi aspettavo la domanda, anche se il tema dell’intervista verteva attorno ai rincari energetici. Sintetizzo così il concetto. I posti di lavoro - alla luce anche di questi numeri - non mancano.

Bisogna capire però se i frontalieri vanno a coprire esigenze dettate da nuovi posti di lavoro creati o se i frontalieri sono andati a sostituire la forza di lavoro indigena. Un ragionamento su questa doppia dinamica andrà posto in essere».

Nel contempo, il Ticino dipende in toto dall’Italia per le forniture di gas naturale? Preoccupati?

«Speriamo che l’Italia non faccia scherzi. Mi limito a questo commento. Il tema non rientra nelle mie competenze».

Ottimista o pessimista per il prossimo inverno per le sorti del turismo ticinese?

«Cautamente ottimista. Durante i mesi estivi ci sono stati segnali di ripresa incoraggianti anche in prospettiva futura. E’ chiaro che più si riduce il potere d’acquisto, più i ristoranti (ma non solo) vanno in crisi».

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