Imprese senza manodopera: «È l’emergenza più grave»

L’intervista Luca Nogler, professore di Diritto del lavoro all’Università di Trento ed esperto in materia di bilateralità. «L’esempio tedesco: sviluppo della formazione tecnica e accordi con i Paesi stranieri per l’immigrazione»

Trent’anni fa, nel 1993, le associazioni lombarde dell’artigianato ed i rappresentanti sindacali regionali, dimostrando lungimiranza e capacità di superare dissidi e visioni differenti, diedero vita ad Elba, l’Ente lombardo bilaterale dell’artigianato.

Per ricordare i trent’anni di attività, Elba ha organizzato nei giorni scorsi una mattinata di lavoro e confronto, a Milano, a palazzo Lombardia. Tra i relatori è intervenuto anche Luca Nogler, professore ordinario di Diritto del lavoro all’Università di Trento ed esperto sul tema dell’evoluzione e dello sviluppo della bilateralità in Italia.

Nel mese scorso, con decreto della Presidenza della Repubblica, Nogler è entrato a far parte, con mandato quinquennale, del Cnel, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro ora presieduto dall’economista Renato Brunetta.

Professor Nogler, quale storia raccontano i trent’anni di attività di Elba?

Stiamo parlando di un ente costituito in un momento particolare, quando nel mondo artigiano si replicavano le regole vigenti in ambito industriale, con l’applicazione dello Statuto dei lavoratori che prevede tutele per i dipendenti ma implica anche una logica di fondo di natura conflittuale, con la presenza del sindacato per una continua contrattazione su ogni singolo aspetto della vita aziendale. Si tratta evidentemente di un modello non adatto alle micro realtà dell’artigianato, nella maggior parte dei casi caratterizzate dalla presenza di pochissimi dipendenti: si va dalla piccola impresa che opera nel settore metalmeccanico fino al parrucchiere. In questo contesto, le parti sociali dell’artigianato si sono inventate un nuovo modello di relazioni industriali, basato sulla logica partecipativa, molto diverso quindi dalla visione ideologica prevalente in Italia, almeno in quegli anni e nei decenni precedenti.

Quale è il principio di fondo su cui si basa la bilateralità nel mondo artigiano?

La rappresentanza non viene intesa in senso aziendale, bensì all’interno del bacino delle imprese del settore e viene finanziata attraverso un ente cogestito in modo paritetico della associazioni di categoria e dai sindacati. Si tratta di un ente che eroga contributi sia ai lavoratori che ai datori di lavoro. Parliamo di prestazioni mutualistiche la cui parte preponderante è costituita da ammortizzatori sociali ma che riguardano anche altri ambiti, come la formazione e la sicurezza ed il pagamento del lavoratore nel periodo di malattia. I fondi, evidentemente, non si potrebbero erogare se tutti i soggetti coinvolti richiedessero la prestazione ma il meccanismo funziona molto bene se l’intervento è richiesto solo da chi ne ha effettivamente bisogno. Questo sistema ha dimostrato un’efficienza così rilevante da essere considerato come un modello anche da chi si è occupato di riforma del lavoro, a partire da Marco Biagi, eventualmente estendibile anche ad altri settori.

Dopo trent’anni, il sistema funziona ancora bene?

Sì, i risultati sono molto positivi e lo abbiamo visto in modo particolare nel periodo caratterizzato dalla pandemia. Durante i difficili mesi del Covid, infatti, per i dipendenti delle imprese artigiane i contributi sono arrivati attraverso gli enti bilaterali. Naturalmente, in questo caso le risorse utilizzate sono state messe a disposizione direttamente dallo Stato. Ma proprio questo aspetto è molto rilevante: infatti lo Stato ha dato mandato agli enti perché erogassero risorse anche a chi non era in regola con i versamenti, considerata la situazione di emergenza. I dipendenti delle aziende artigiane non sono stati pagati attraverso l’Inps, come è avvenuto per altri settori, ma attraverso la bilateralità cui il governo ha riconosciuto, di fatto, una funzione pubblica, anche se si tratta di enti di natura privata.

Attraverso la costituzione e la corretta gestione degli enti bilaterali, gli artigiani ed il mondo sindacale sono riusciti a mettere da parte le divisioni in vista di un bene comune. Tutto questo rappresenta una lezione anche per gli altri settori?

Si è trattato e si tratta certamente di un segno di maturità molto importante del mondo dell’artigianato. Il nuovo presidente del Cnel, Renato Brunetta, recentemente ha invitato le parti sociali a superare definitivamente le contrapposizioni ideologiche e massimaliste sul lavoro, e le tante bandierine attorno a cui si è consumata la battaglia per contrastare l’inevitabile declino della società salariata. Lo stesso Brunetta ha invitato a ragionare su una sempre maggiore partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, in linea con quanto avviene in altri paesi europei e secondo quanto previsto dall’articolo 46 della Costituzione italiana. Con gli enti bilaterali, gli artigiani sono gli unici ad aver creato davvero un meccanismo partecipativo, un modello molto particolare, studiato ed apprezzato anche all’estero, che ha una sua specificità positiva e contrasta con la logica dominante del conflitto perenne.

Professore, recentemente lei è entrato a far parte del Cnel. Come valuta la situazione generale del mercato del lavoro in Italia?

Il problema più grave, come noto, risiede nell’insufficienza della manodopera. Si tratta di una criticità che investe numerosi settori, in modo trasversale. Viviamo in una società sempre più vecchia, il tema della scarsa natalità sarebbe davvero una priorità e non possiamo pensare di risolverlo attraverso bonus per chi mette al mondo più figli. In questo contesto così difficile, a mio avviso, ci sono due strade da percorrere con attenzione. La prima è quella della formazione: occorre insistere sul nuovo livello formativo costituito dagli istituti tecnici superiori, che stanno crescendo e si stanno rafforzando soprattutto in Lombardia. Anche il mondo dell’artigianato deve interagire maggiormente con questo nuovo strumento. Viceversa, gli artigiani possono diventare un modello per quando riguarda il ruolo dell’apprendistato, che in Germania funziona molto bene anche in ambito industriale. La seconda strada che suggerisco è quella di rapportarsi maggiormente con il contesto internazionale, creando una rete fuori dall’Italia per reperire la manodopera necessaria. Penso ad esempio al settore del servizio alla persona: la Germania ha fatto accordi con altri paesi, come le Filippine, per la formazione in loco dei lavoratori che si trasferiscono successivamente per lavorare in aziende tedesche. Anche gli enti bilaterali come Elba potrebbero avere un ruolo nella costruzione di queste reti ed alleanze internazionali.

Nel mercato del lavoro italiano ci sono gravi criticità anche per quanto riguarda il rapporto tra domanda ed offerta: da un lato aziende che cercano personale e dall’altro persone che percepiscono sussidi statali perché prive di occupazione. Come superare questa difficoltà?

La possibile via maestra per affrontare il problema è un coinvolgimento molto più forte delle parti sociali a livello territoriale. Proprio gli enti bilaterali come Elba potrebbero giocare un ruolo, anche nella gestione delle offerte di lavoro. Le strutture sociali dell’artigianato potrebbero infatti raccogliere le ricerche delle aziende e rilanciarle rivolgendosi in prima battuta a chi percepisce il reddito di cittadinanza. Credo quindi che vadano impiegate, anche in questo ambito, le strutture che sono già a disposizione delle imprese.

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