La deriva piena di incognite delle banche centrali

L’esperto L’intervento all’Ucid di Como di Franco Bruni, economista dell’Università Bocconi e vicepresidente dell’Ispi: «Credibili difensori della stabilità monetaria? Solo se un così lungo periodo di sregolatezza non si ripeterà più»

Franco Bruni, vice presidente di Ispi, ha presentato a Como, invitato dall’Unione cristiana imprenditori dirigenti, il suo ultimo libro “Oltre le Colonne d’Ercole. Ripensare le regole della politica monetaria”, edito da Egea.

Qui una sintesi e alcuni estratti del suo intervento che critica la strategia delle banche centrali che secondo lui si sono spinte all’eccesso con le politiche espansive, appunto «oltre le Colonne d’Ercole», e poi hanno dovuto precipitosamente correre ai ripari. L’auspicio per il futuro è una maggiore stabilità, un ampio concerto internazionale e una chiara, trasparente comunicazione delle azioni che vengono intraprese in ambito finanziario.

«Per fronteggiare le ripetute crisi globali che hanno coinvolto il mondo a partire dalla grande crisi finanziaria del 2008, le banche centrali hanno abbassato fortemente i tassi e comprato grandi quantità di titoli di Stato con conseguenze che si sono rivelate in modo compiuto con l’inflazione di questi ultimi due anni.

Dal GFC (global financial crisis) del 2008 e 2009 il mondo si è trovato in una permacrisi, in una costante instabilità, ed è questa la premessa anche della grave crisi dell’Eurozona nello scorso decennio che ha visto coinvolti diversi paesi: dalla Grecia all’Irlanda, dal Portogallo alla Spagna, fino all’Italia e quindi a Cipro.

La crisi

La crisi finanziaria ampia e diversificata dell’eurozona non mancò di essere di stimolo per ambiziosi progetti di riforma di diversi aspetti della sua organizzazione. Il loro disegno mostra lo sforzo organico per reagire alle difficoltà incontrate, nonché alle esperienze degli anni trascorsi dall’introduzione della moneta unica. Lo sforzo di per sé ha avuto un valore e significato politico forse permanente.

Purtroppo però il processo di riforma ha incontrato difficoltà ed è stato realizzato solo in parte e in parte rinviato. Rimane però il disegno che, con alcuni ripensamenti e modifiche, costituisce ancora oggi un possibile orizzonte dell’evoluzione dell’area della moneta unica e dell’organizzazione dei suoi mercati finanziari e dell’unione europea.

Il periodo 2014 – 2019, con le sue tensioni commerciali e politiche, una bassa inflazione e poca crescita, segna gli anni in cui le banche centrali si spingono a tentare vie ignote, fuori dall’ortodossia e senza regole, con politiche ultraespansive basate soprattutto sul Quantitative Easing, strumento per “creare moneta” mediante l’acquisto di titoli di Stato o altre obbligazioni sul mercato, che la Fed, la banca centrale degli Stati Uniti, attua dal 2009 al 2014, e la Banca centrale europea nel quinquennio successivo.

Fino al 2014 la Bce mise in atto un misto equilibrato di strumenti più o meno ortodossi ma da quel momento in poi ha prevalso il Quantitative easing. Il Qe è diverso dall’espansione monetaria ortodossa perché vuole influenzare durevolmente la liquidità del mercato, con acquisti ripetuti e predeterminati per un periodo lungo diversi mesi o anni; ciò implica l’accumulo di titoli nell’attivo della banca centrale.

Il Qe cerca di abbassare i tassi a lungo termine, con conseguenze sugli investimenti, e nel momento in cui si concentra sui bond pubblici riduce il costo d’indebitarsi per gli Stati, con la conseguenza che si sono indebitati di più.

Nella ricostruzione di quanto avvenuto in Europa, si osserva come non tutti gli strumenti messi in campo per contrastare la cosiddetta crisi del debito fossero non convenzionali.

Ma a interventi di breve durata, come le operazioni di mercato aperto, e di dimensione circoscritta, che non potevano dunque svolgere una funzione di supplenza della decisione politica chiamata a mettere in ordine le finanze pubbliche, se ne sono aggiunti altri come operazione di rifinanziamento a lungo termine delle banche .

Soprattutto, ha prevalso una logica di compensazione, negli Usa come in Europa, delle politiche dei governi.

Ma quando le due banche centrali cominciano a frenare l’espansione ecco l’arrivo della pandemia, che le induce a tornare a intensificare quella politica monetaria.

Accesa anche dalla guerra ucraina, con l’aumento dei prezzi dell’energia, irrompe quindi l’inflazione, stranamente inattesa, riconosciuta e affrontata con ritardo.

Proprio il ritorno dell’inflazione imporrebbe un ripensamento delle strategie utilizzate e un ritorno alle regole abbandonando la logica dell’eccezione.

Si è parlato pochissimo di politica monetaria e responsabilità delle banche centrali a partire dalla crisi del 2007-2008. Fed e Bce sono ubique, ma alimentare il mito della propria onnipotenza è rischioso. Essere chiamati in causa sempre e comunque può essere apparso, ai banchieri centrali, un trionfo. Nel medio termine appanna la reputazione dei loro successori.

Se oggi i banchieri centrali vogliono tornare credibili difensori della stabilità monetaria devono convincerci che un così lungo periodo di sregolatezza non si ripeterà più. Devono «legarsi le mani» e ridarsi delle regole flessibili con cui moderare e abbreviare le manovre dei tassi di interesse.

Fed e Bce, quindi, hanno fatto bene ad agire come hanno agito durante la grande crisi finanziaria, così come durante la pandemia. Ma non sono state in grado di immaginare una exit strategy alle politiche non convenzionali che avevano messo in atto.

La normalizzazione monetaria effettivamente in corso cerca di riportare i tassi di interesse a muoversi entro limiti normali e a riassorbire l’enorme liquidità inserita nel sistema con gli acquisti di titoli e l’gigantimento del bilancio delle banche centrali.

Il successo dell’operazione, con un rallentamento adeguato della crescita dei prezzi, con la riduzione delle aspettative di inflazione e senza significativi incidenti finanziari segnerebbe un prezioso recupero di parte della credibilità perduta dalle autorità monetarie nel travaglio della gestione delle crisi degli ultimi due decenni. Dopodiché occorreranno però rassicurazioni che non si possa ripetere un abbandono così prolungato delle regole che servono per perseguire la stabilità monetaria e finanziaria.

L’indipendenza delle banche centrali è fondamentale ed è compatibile con un solo vincolo imposto dai governi scrivendo i loro statuti: l’obbligo di avere come obiettivo la stabilità dei prezzi.

L’auspicio

Auguriamoci dunque che le banche centrali mettano nuovamente mano alla revisione delle loro strategie e vi inseriscano nuove promesse autovincolanti e stabilizzanti. Oltre le “colonne d’Ercole” hanno trovato acque agitate e malsane ed è bene rassicurino l’equipaggio.

L’inflazione sopra il 10 % è una tassa molto ingiusta e pericolosa, una causa arbitraria di redistribuzione di redditi e ricchezze, una ferita nel meccanismo con cui i mercati allocano le risorse: se almeno in parte le banche centrali si sentono responsabili di averla causata o di aver tardato a combatterla, devono davvero permetterci di non peccare più.

Auguriamoci inoltre che le loro promesse avvengano insieme a un più ampio concerto delle politiche economiche mondiali. Auspichiamo infine che quel concerto sia parte di un riassetto dell’economia globale che non confligga con la geografia del potere politico, ma ne rifletta gli interessi più generali con una globalizzazione ragionevole e sostenibile».

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