L’economia italiana nel 2023: «Con l’anno nuovo altri rallenteranno più di noi. Negli ultimi due anni siamo cresciuti del 10%»

Intervista Marco Fortis, docente e vicepresidente di Fondazione Edison, invita a guardare con fiducia al nuovo anno: «Smettiamo di mettere in cattiva luce il nostro Paese. Non ci sarà un crollo e altri soffriranno più di noi»

Italia lumaca? Paese alla canna del gas? Fanalino di coda in Europa? Niente di tutto questo. Secondo Marco Fortis, economista, direttore e vicepresidente della Fondazione Edison, docente di Economia industriale in Cattolica ed editorialista del quotidiano Il Sole 24 Ore, «dobbiamo smetterla di creare definizioni per mettere in cattiva luce il nostro Paese, specialmente dopo questi due anni di crescita».

Professor Fortis, il 2021 è stato particolarmente positivo per l’economia italiana. Anche il 2022, contrariamente a numerose previsioni, si chiuderà in crescita?

Sì, ormai il dato è acquisito ed è solido. Il 2022 è stato un anno certamente molto complesso a causa del conflitto tra Russia e Ucraina, delle tensioni sull’energia e degli effetti sull’inflazione, alimentata anche dal rialzo dei prezzi dei prodotti agricoli ed alimentari. In questo contesto difficile, l’Italia ha nuovamente sorpreso gli analisti, come già accaduto nel 2021. Lo scorso anno, infatti, il nostro Paese ha ottenuto un risultato di crescita del Pil del 6,6%, nettamente superiore al 2,9% della Germania che pure aveva frenato in modo meno marcato nel 2020 rispetto all’Italia. Il 2022 è iniziato con previsioni molto negative da parte di numerosi analisti e centri studi, compreso quello di Confindustria. Invece abbiamo assistito ad un’evoluzione differente: il primo trimestre è stato di tenuta, il secondo di crescita sostenuta e anche il terzo è stato positivo. Ora attendiamo i numeri del quarto trimestre ma, anche se dovesse esserci una flessione, comunque il 2022 si chiuderà con un nuovo incremento del Pil del 3,7 o addirittura 3,8%. Sarebbe poi clamoroso se anche gli ultimi mesi dell’anno evidenziassero una crescita, dimostrando una capacità di resistenza molto forte del nostro sistema economico.

Quali sono le motivazioni di questa ulteriore crescita?

Certamente hanno funzionato le misure di contrasto all’inflazione introdotte dal governo Draghi e confermate dall’attuale esecutivo. Due terzi delle misure presenti nella manovra sono correttamente orientate verso un contenimento dell’inflazione. È una scelta condivisibile perché il Pil nel 2021 è stato trainato dall’industria mentre nell’anno che stiamo concludendo è stato sostenuto soprattutto dal boom del turismo e dalla tenuta dei consumi interni.

Per quale motivo l’economia italiana è stata sottovalutata dagli analisti?

Dobbiamo dire che veniamo da un lunghissimo periodo caratterizzato da una scarsa crescita nel nostro paese. Negli anni Duemila abbiamo attraversato tre gravi crisi. Prima c’è stata la globalizzazione, i cui effetti hanno causato gravi difficoltà alle imprese italiane operative in settori rilevanti come tessile, abbigliamento, calzaturiero e mobile: sono entrate in crisi aziende che proponevano prodotti a basso valore aggiunto e molte produzioni sono state delocalizzate. È stata una fase di trasformazione che ha fatto perdere all’Italia quote di mercato e ha causato una contrazione di posti di lavoro. Poi è iniziata una fase di lenta ripresa fino ad una nuova crisi, quella del 2009, completamente importata dagli Stati Uniti che hanno vissuto un crollo pesantissimo, con fallimenti di banche ed assicurazioni. L’economia americana è uscita viva da questa situazione, ma in Europa abbiamo sperimentato anche una decisa flessione del commercio mondiale che ha comportato una sofferenza per il made in Italy. Quindi c’è stata una nuova flebile ripresa prima della crisi del debito greco e in Italia del governo Berlusconi, con l’avvio di una fase di austerità. Abbiamo quindi vissuto negli ultimi decenni tre crisi ravvicinate che ci hanno messo in difficoltà mentre, contemporaneamente, la Germania è cresciuta.

Poi qualcosa è cambiato e l’Italia ha invertito la rotta. Quali sono stati i fattori decisivi?

In primo luogo le tre drammatiche crisi hanno generato anche una scrematura nel nostro sistema imprenditoriale e le aziende rimaste hanno dimostrato di essere di alto livello. Poi è partita Industria 4.0 che ha permesso di realizzare investimenti molto importanti per rafforzare l’economia italiana. Pertanto, prima del Covid la crescita manifatturiera nazionale è stata superiore a quella tedesca, che è entrata nel tunnel del dieselgate e dell’incertezza sul futuro dell’auto. Siamo quindi entrati nella fase difficile della pandemia con l’industria in viaggio a gonfie vele e siamo usciti dal Covid già in netta ripresa, mentre le aziende tedesche sono rimaste impantanate nella crisi generale delle forniture.

Quindi il modello imprenditoriale italiano si sta rivelando vincente?

Credo che il nostro elemento di forza sia dato soprattutto dalla diversificazione delle produzioni. Basta guardare alla struttura del nostro export. Se togliamo dall’elenco dei beni che esportiamo maggiormente le prime cinque voci, il valore delle nostre vendite all’estero resta comunque molto elevato. Se facciamo la stessa operazione per altri Stati, vediamo il peso dell’export crollare. In Italia quindi ci sono settori che si passano il testimone della crescita a seconda dei cicli storici che vive l’economia. La nostra industria è quindi diversa rispetto a quella di altri Paesi europei ed è bastato che la globalizzazione vivesse alcune criticità per permetterci di apprezzare l’ottimo funzionamento del modello made in Italy.

Guardiamo al 2023 che sta per iniziare. Prevede anche lei un rallentamento dell’economia nazionale?

Lo ritengo possibile ma, anche in questo caso, ci saranno altri che rallenteranno più di noi. Se siamo cresciuti del 10% in due anni, non sarà un grande problema un anno di minor crescita. Peraltro, salvo che si concretizzino scenari apocalittici, non c’è al momento ragione per pensare che l’Italia non possa tenere saldamente anche nel prossimo anno. Certo, abbiamo sempre il grande problema della gestione del debito pubblico. Ma, se ci guardiamo intorno, vediamo come l’economia francese abbia rallentato moltissimo così come i consumi delle famiglie spagnole. Quindi sarebbe ora di accorgersi di quanto l’Italia è cresciuta in questi anni e di abbandonare la vecchia cantilena che racconta di un Paese fermo, fanalino di coda in Europa o lumaca. Lasciamo da parte queste definizioni dettate da autocommiserazione e guardiamo ai numeri molto positivi per il nostro Paese anche in questo 2022.

Su quali emergenze si dovrebbe concentrare l’azione del nostro governo?

Nonostante l’andamento positivo dell’economia, sono ovviamente molti i punti in cui possiamo migliorare. Ne cito uno su tutti: l’evasione fiscale, che è spaventosa e nasconde i contorni reali anche della stessa povertà. In Italia ci sono certamente numerose famiglie povere, ma ci sono anche tanti falsi poveri mantenuti da quelli che pagano le tasse. Ci manca quindi un Fisco 4.0 che faccia emergere questa situazione certificata dall’analisi dei dati dell’Irpef. Oggi purtroppo assistiamo ad un corteggiamento, neppure troppo nascosto, di chi non paga le imposte: il tetto all’uso del pos era chiaramente un soccorso agli evasori. Io penso che non abbia senso continuare a mantenere l’Italia nel medioevo fiscale per raccogliere qualche voto in più.

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