L’economista Sapelli: «Giuste le sanzioni economiche alla Russia, ora la priorità è salvare le piccole e medie imprese»

Intervista L’economista Giulio Sapelli analizza lo scenario italiano post elezioni e i rischi legati alla crisi energetica: «L’inflazione? Aumentare i tassi è un suicidio. Sì a misure di emergenza per abbattere i costi di produzione»

«Pensare all’interesse nazionale non è di destra, è solo buon senso, almeno in questa fase così travagliata: per questo Giorgia Meloni, che ha una storia ed una cultura politica lontanissime dalle mie, ha vinto le elezioni; il contesto in cui viviamo l’ha aiutata ad ottenere questo risultato».

Giulio Sapelli, 75 anni, economista, accademico, dirigente d’azienda, saggista, una storia politica sviluppata nel solco del cattolicesimo democratico piemontese, guarda con parziale ottimismo al nuovo quadro politico nazionale generato dal voto del 25 settembre.

Professor Sapelli, come valuta l’attuale situazione economica del nostro paese?

Dopo la pandemia, una nuova pesante crisi è stata generata dall’aggressione imperialista russa contro l’Ucraina. È stato giusto rispondere con le sanzioni economiche e sacrosanta è stata anche la decisione di fornire armi a Kiev: anzi, se fosse stato fatto prima, probabilmente i russi avrebbero avuto una lezione meritata. Tuttavia, come insegna la storia, si pensi ad esempio al caso di Cuba, le sanzioni possono favorire i despoti e danneggiare il popolo. Ed ora la Russia ha risposto con l’unico mezzo a disposizione, ossia ricattando l’Europa con il gas ed il petrolio. Ho sempre criticato in passato la scelta tedesca di affidarsi completamente alla Russia per il proprio rifornimento energetico: è stata una politica molto rischiosa e ora ne paghiamo tutti le conseguenze. Infatti la Germania è in crisi in questo momento, più di noi per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico: ma quando le imprese tedesche entrano in una fase di difficoltà, ne risentono pesantemente anche le nostre pmi vocate all’export e questo è un grave danno per la nostra economia.

In questo contesto economico, quale è la sua valutazione sul nuovo quadro politico nazionale?

Per troppi anni in Italia si è fatta una politica economica pensata solo per le grandi imprese, che oggi non ci sono neppure più perché si sono tutte trasferite all’estero. E questo è avvenuto perché le forze politiche dominanti non rappresentano più il territorio. La crisi della Lega deriva proprio da questo: non sono riusciti a portare al governo le esigenze delle pmi. Si tratta quindi di un problema di politica economica più che di leadership. Le persone hanno capito che bisogna tornare, naturalmente con spirito europeista ed atlantista, a porre in primo piano l’interesse nazionale prevalente, come ha fatto Enrico Mattei e come hanno fatto i leader democristiani negli anni Cinquanta e Sessanta. Giorgia Meloni rappresenta proprio questo ritorno all’interesse nazionale prevalente: usa un linguaggio che non è il mio, ma ha saputo incarnare bene questa esigenza. E questo non è di destra.

La stampa internazionale e anche alcuni governi europei hanno tuttavia reagito con stupore e preoccupazione davanti ai risultati elettorali italiani. Lei non è preoccupato per alcune possibili derive sovraniste?

Guardi, glielo dice uno che viene da una storia cattolica di sinistra: per fortuna abbiamo avuto un risultato elettorale chiaro. Credo che sia ora di finirla di evocare Orban, perché non siamo in Ungheria. La sinistra deve smettere di accusare le persone. La campagna elettorale del Pd è stata deludente: come si fa a proporre una patrimoniale per aiutare i giovani? Si offendono i giovani e si spaventano i potenziali investitori nel nostro paese. E anche l’Europa ha sbagliato tutto, con la presidente della commissione Ue che minaccia ritorsioni, ovviamente di natura economica, a due giorni dal voto italiano: mi ha ricordato il sindaco di Napoli, Achille Lauro, che dava agli elettori una scarpa prima delle elezioni ed una solo dopo, a risultato acquisito. Al momento, quindi, sono parzialmente ottimista sul futuro governo: mi auguro che sappiano inserire persone capaci nei ruoli più delicati.

A proposito di persone capaci: per il mondo economico, non sarebbe stato meglio continuare con Mario Draghi a Palazzo Chigi?

Io credo che si debba tornare alla politica. Un primo ministro non eletto non è naturale, si può avere solo in una fase di emergenza transitoria. Come recita la nostra Costituzione, la sovranità appartiene al popolo. Draghi lo avrei visto bene come presidente della Repubblica, in modo da poter utilizzare il suo prestigio a tutela dell’Italia, ma torniamo alla politica per il capo del governo. Non esprimere un primo ministro politico non è all’altezza della tradizione nazionale: noi abbiamo avuto leader politici come Aldo Moro e non sono tanti i paesi che possono vantare personalità di questo livello nella propria storia.

La crisi energetica potrebbe colpire prima le imprese e poi le famiglie. Prevede tensioni sociali?

Stiamo probabilmente per entrare in una fase di grave crisi, caratterizzata da un profondo pericolo di deindustrializzazione e quindi spero che il nuovo governo crei un comitato d’eccezione per la sopravvivenza delle pmi, che lavori in modo coordinato con i paesi di cui siamo fornitori. Serve una democrazia economica, con la partecipazione delle associazioni di categoria: i corpi intermedi si devono dare da fare per aiutare la politica, perché c’è il rischio di una profondissima recessione. Non credo invece alla possibilità che si generino gravi tensioni sociali in Italia perché alla povera gente, purtroppo, è stata tolta anche la speranza di un cambiamento: in Inghilterra o in Francia ci sono partiti di sinistra che rappresentano i più deboli, mentre da noi non esiste più un movimento che incarna questi ideali.

Ci sarebbe il Movimento 5 Stelle…

I 5 Stelle avevano in effetti questa potenzialità, ma poi hanno perseguito una politica assistenzialista piuttosto che un progetto che valorizzi la dignità del lavoro. C’è un modo dignitoso di essere poveri, che non passa attraverso l’elemosina. Serve una seria politica industriale per creare nuovo lavoro o per non perdere quello che abbiamo. Per questo sono profondamente contrario ai sussidi e penso che chi percepisce il reddito di cittadinanza debba svolgere lavori per la collettività: non per dare una punizione, ma per restituire la dignità che passa attraverso il lavoro.

Quali misure andrebbero adottate, a suo avviso, per tentare di ridurre l’impatto della crisi che sta per arrivare?

Credo che sia stata ottima la decisione, appena presa, di separare il prezzo dell’elettricità da quello del gas: avremmo dovuto farlo subito, perché ci sono provvedimenti che non sono di destra o di sinistra, ma di buon senso. Valuto positivamente anche la definizione del prezzo del gas a livello nazionale, senza dipendere più dalla borsa di Amsterdam. Per quanto riguarda l’inflazione, che in realtà tecnicamente è una deflazione, rispondere aumentando i tassi sarebbe suicida. La crisi attuale è esogena, come nel caso della pandemia. Occorre quindi più attenzione all’economia reale, riformando il fisco e pensando di più alle pmi, in primo luogo con misure di emergenza per alleggerire i costi di produzione ed in seconda battuta agendo sul finanziamento delle imprese. Credo infatti che servano misure per favorire il finanziamento non bancario per le aziende, ad esempio attraverso il private equity. La forza degli Stati Uniti risiede proprio nella presenza diffusa di un finanziamento non solo bancario.

Questione Piano nazionale di ripresa e resilienza. Secondo lei, il Pnrr va attuato così come è stato scritto oppure andrebbe modificato?

A livello astratto servirebbero certamente alcune modifiche, perché in pochi mesi il mondo è profondamente cambiato. Tuttavia, conoscendo la burocrazia comunitaria, estremamente farraginosa, penso che introdurre modifiche potrebbe comportare il rischio di perdere i soldi. Quindi, ancora una volta, dico che serve buon senso e praticità in una fase difficile come quella che stiamo vivendo. Intanto prendiamo i soldi, poi vedremo.

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