La crisi tra Israele e Gaza: «Ci eravamo illusi che quel conflitto fosse congelato»

L’intervista Luigi Geninazzi, giornalista lecchese nato in provincia di Como, una vita da inviato: «L’attacco di Hamas sconvolgente, israeliani sotto choc. Gaza? Vita da topi»

Un attacco impensabile, senza precedenti. Che riporta le lancette della storia indietro, agli anni peggiori.

Luigi Geninazzi, giornalista lecchese nato a Valsoda, in provincia di Como, di Avvenire, ha seguito per vent’anni (dall’epoca degli accordi di Oslo del 1993 a circa dieci anni fa) le vicende del conflitto arabo-israeliano. Reduce dalla narrazione della fine dell’Unione Sovietica, Geninazzi ha poi viaggiato decine di volte tra Gaza e Israele, raccontando i difficili tentativi di pace di una terra che, da qualche giorno, rivede ora il sangue scorrere tra le città e il deserto. Dalla notizia dell’attacco, racconta, vive ora ininterrottamente collegato tra Bbc e Al-Jazeera.

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Sabato mattina, all’alba, la notizia dell’attacco di Hamas. Cosa ha pensato?

Un’azione sconvolgente, senza precedenti. Non solo in termini di intensità e violenza, ma perché si parla di un’operazione terroristica che è riuscita a penetrare nel territorio israeliano e prendere alla sprovvista quello che comunemente è ritenuto uno degli eserciti più dotati di infrastrutture e informazioni. Settemila missili, migliaia di miliziani delle brigate al-Qassam, il braccio armato di Hamas, che penetrano nel territorio israeliano con deltaplani, moto, pare anche dal mare. È sconcertante che un’operazione simile abbia potuto sorprendere Israele.

Insomma, pur nella ciclicità dei conflitti arabo-israeliani, è un’offensiva senza precedenti.

Sai, il precedente è quello di cinquant’anni fa, la guerra del Kippur. Ma parliamo di veri e propri stati arabi in guerra con Israele. Vorrei essere chiaro: quanto sto per dire non giustifica in alcun modo l’atto terroristico di Hamas. Personalmente, ad ogni modo, credo ci sia stata una miopia politica del governo Netanyahu sulla questione palestinese. In Israele era al potere il governo più di destra della storia del Paese, in conflitto con gran parte dell’opinione pubblica, concentrato su problemi interni e manifestazioni, tirato sempre più a destra dai partiti del sionismo religioso. Rappresentanti politici che, mi spiace dirlo, irridevano in modo miope e sventato i palestinesi. Eppure tutto sembrava immobile, silenziato. C’erano persino voci di un negoziato segreto tra Hamas e il governo israeliano, perché era strano che le proteste palestinesi si concentrassero solo sulla Cisgiordania e per nulla sul fronte di Gaza. Ora il meccanismo terroristico di Hamas si è svelato in tutta la sua devastante violenza.

Che sensazione le hanno lasciato le immagini dei ragazzi in fuga nel deserto dai mitra di Hamas?

Una sensazione spaventosa. Non è solo un fatto di violenza, intendiamoci. Negli anni Duemila, da inviato, avevo seguito per lunghi mesi l’Intifada. Quasi ogni giorno, c’erano attentati omicidi da parte dei kamikaze palestinesi, in strada e negli autobus. Andavo sul posto, ed era uno strazio vedere i corpi dilaniati dei kamikaze e delle vittime civili. Queste scene però hanno una brutalità ulteriore. Non si erano mai visti cittadini israeliani presi e rapiti casa per casa. Israele peraltro è molto sensibile al fatto che un suo cittadino possa essere in mano a terroristi nemici. Non ricordo solo le Olimpiadi di Monaco. Anche nel 2011, liberare un solo soldato israeliano era valso cinque anni di trattative e il rilascio di circa 150 prigionieri palestinesi.

Ha sentito qualche conoscenza palestinese? Cosa dicono?

Sono in contatto ad esempio con la persona che mi faceva da interprete a Gaza, e mi conferma che questo è per loro il momento più difficile degli ultimi vent’anni. Peraltro, oggi Gaza non è né più né meno che una prigione a cielo aperto. Personalmente la ricordo negli anni Novanta, dopo gli accordi di Oslo. C’era una certa libertà, i palestinesi che lavoravano in Israele potevano entrare e uscire. Dopo l’Intifada, mai più nulla di tutto questo. Il governo di Hamas, del resto, sottomette l’area dal 2006 con pugno di ferro. Le notizie che si sentono ora sono le scuole dell’Onu riempite già di migliaia di rifugiati, le bombe, l’assedio. Quando sono tornato a Gaza ricordo case fatiscenti, con persone che facevano buchi nei muri per poter scappare agevolmente da una casa all’altra senza uscire, in caso di bombardamenti. Era una vita da topi. Ora l’assedio pesantissimo in atto rischia di consegnare la popolazione all’ideologia di Hamas.

E gli israeliani?

Non se l’aspettavano. Chi vive vicino alla Striscia di Gaza era ormai abituato, si fa per dire, ai soliti piccoli missili artigianali di Hamas. Lanci che avranno fatto due o tre morti in vent’anni. I residenti israeliani hanno anche una camera di sicurezza in ogni casa, dove si rifugiano appena suona l’allarme aereo. Ma, mi confermano, era diventata una specie di routine. L’assalto, le incursioni, i rapimenti, le uccisioni nella notte è una cosa mai avvenuta, impensabile.

Lei ha seguito la dissoluzione dell’ex Unione Sovietica e poi i conflitti mediorientali. Oggi tutto sembra un eterno ritorno.

Negli anni Novanta, la sensazione era che tutto stesse cambiando in meglio, pur con le contraddizioni e la guerra in Jugoslavia. La caduta del muro, la fine dell’Unione sovietica, gli accordi di Oslo. In Medio Oriente vedevo israeliani andare a Ramallah, nascere amicizie con palestinesi. I paesi comunisti diventavano democrazie senza sparare un colpo. Oggi? Torniamo indietro agli anni peggiori, forse perché ci eravamo illusi di aver congelato e dimenticato tante questioni irrisolte. Ho un ricordo. Durante un’intervista a un esponente di Hamas, notai una cartina appesa alla parete. Rappresentava il mondo arabo cancellando Israele. Questo è il nostro obiettivo, diceva quell’uomo. L’ho rivista anni dopo, quella cartina, tornato nella stessa stanza. L’obiettivo rimaneva. Dovevamo saperlo, forse abbiamo finto di non saperlo.

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