L’Italicum dimezzato
nelle mani del Senato

Alcune settimane fa, il 19 gennaio, Berlusconi e Renzi si videro nella sede del Pd di largo del Nazareno e strinsero un accordo sulla nuova legge elettorale.

Ad un mese e mezzo da quello storico incontro, l’intesa deve essere rivista e aggiornata. L’Italicum sarà approvato ma riguarderà solo la Camera, mentre al Senato resterà in piedi il sistema proporzionale frutto della sentenza della Corte che ha abrogato il Porcellum. «Tanto il Senato sarà abolito, quindi a che serve prevedere un sistema elettorale anche per Palazzo Madama?» è la spiegazione con cui Renzi spiega la ragione del nuovo accordo.

Il ragionamento non fa una piega, ma le cose sono un po’ più complicate. Il premier negli ultimi giorni era stretto in una tenaglia: da una parte Alfano e la minoranza del pd, che chiedevano di far entrare in vigore la nuova legge solo dopo l’abolizione del Senato per scongiurare il rischio di elezioni in tempi brevi; dall’altra Berlusconi, che invece voleva lasciarsi aperta la possibilità delle elezioni anticipate. L’intesa raggiunta accontenta un po’ tutti. Il legame tra l’approvazione della legge elettorale e la «morte» del Senato non c’è. Ma è anche vero che andare a votare prima della scomparsa definitiva del Senato, con l’Italicum approvato per la sola Camera, sarebbe un salto nel buio. E già, perché la Camera formato «Italicum» avrebbe una coalizione vincente, alla quale la legge assegnerà la maggioranza assoluta dei seggi, mentre nel Senato «proporzionale» nessuno sarebbe prevedibilmente in grado di arrivare sopra il cinquanta per cento.

A ben guardare, dunque, l’Italicum «dimezzato» arriva con altri mezzi allo stesso risultato che si prefiggevano i fautori dello slittamento della sua entrata in vigore: l’allontanamento delle elezioni. Per garantire che il risultato elettorale consenta la formazione di un governo stabile bisognerà per forza aspettare l’abolizione del Senato. Non basteranno un pugno di mesi per arrivarci. Ci vorrà forse un anno o più, e se la riforma dovesse passare senza la maggioranza dei due terzi potrà anche essere sottoposta a referendum. E’ una vittoria di Alfano e dei suoi, che infatti gioiscono. Ma anche Renzi rivendica l’accordo e lo definisce «un importante passo in avanti», perché il premier vede la possibilità di blindare il suo governo per un tempo ragionevolmente lungo. Soddisfatto anche Berlusconi, nonostante dica di provare «delusione» per Matteo: in fondo l’allontanamento della prospettiva delle elezioni gli concede tempo per riorganizzare il centrodestra .

Insomma, sembrano tutti convinti di averla spuntata e si muovono di conseguenza. Il primo sì della Camera all’Italicum dovrebbe arrivare venerdì prossimo. Poi il convoglio della riforma si sposterà al Senato. C’è da chiedersi se i senatori avranno la stessa solerzia dei loro colleghi deputati nell’approvare la riforma. Di certo c’è che l’accordo consegna loro le chiavi delle elezioni. Se per mandare gli italiani a votare bisognerà aspettare l’abolizione del bicameralismo perfetto, tutto dipenderà dal tasso di convinzione dei senatori nel dire sì alla riforma che li priverà del loro status. A questi delicati snodi guarda con attenzione il Quirinale: Napolitano ha legato il suo bis al colle alle riforme e non potrà avallare pasticci.

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