IL MERCATO
DELLA VITA
VA OLTRE
L’IDEOLOGIA

È bastato che Giorgia Meloni depositasse un progetto di legge che definisce il cosiddetto “utero in affitto” come crimine internazionale per far esplodere l’ennesima polemica tutta ideologica tra destra e sinistra.

Ora, è vero che siamo in campagna elettorale per le politiche del 2023, è anche vero che la leader di FdI sta cercando di proporsi come nuovo referente del centrodestra, vista la tardissima età di Berlusconi e l’inesorabile appannarsi della stella di Salvini, ed è pure vero che la convention milanese per lanciare il partito conservatore italiano va proprio in questa direzione. Anche se non è che basti buttare sul tavolo qualche citazione di Hannah Arendt, Dostoevskij, Prezzolini e Pasolini - che ormai lo usano come il prezzemolo - per riverniciarsi di nuovo e far dimenticare tutta la fuffa statalista, sovranista, populista, gentista, antieuropeista e antiamericana che ammorba la nostra destra. Non è che la mattina una si sveglia e diventa la Thatcher: la Meloni dovrà così mangiarne di panini per far propria una sana cultura liberale, altro che Orban, Trump e Le Pen.

Ma detto questo, sull’utero in affitto ha ragione. Quello è un paletto che deve essere conficcato con forza e coraggio nella palude etica che avviluppa la società moderna occidentale, nel relativismo morale che ne segna la debolezza, l’ipocrisia e la vigliaccheria, nel pissi pissi modaiolo che ha stravolto tutti i riferimenti non solo culturali, ma anche biologici che invece una società degna di questo nome e che rispetta le donne nei fatti e non a chiacchiere deve tenere saldi.

E che la presidente di FdI, almeno in questo, abbia colto nel segno è dimostrato dalle reazioni isteriche di tutta quella intellighenzia sinistroide, femministoide e terrazzoide che ben conosciamo e che è stata riassunta in un intervento particolarmente irritante della filosofa Michela Marzano pubblicato sulla “Stampa” nel quale si esaltavano le meraviglie e la generosità e l’empatia e la condivisione e il senso del dono insito nella scelta di una madre di portare avanti una gravidanza conto terzi con tutta l’apodosi retorica dei nuovi papà e delle nuove mamme e dell’allargamento dei confini del cuore e tutto il resto della paccottiglia pseudo progressista che, fortunatamente, il giorno dopo, sempre sulla “Stampa”, è stata fatta a pezzi dalla storica Lucetta Scaraffia.

Innanzitutto, perché è davvero insopportabile che chiunque avanzi dubbi sulla liceità dell’utero in affitto venga stigmatizzato come vecchio bigotto, patetico trombone o scemo dell’oratorio, visto che l’opposizione radicale a questo schema può arrivare anche da un laico a cento carati, come ad esempio chi scrive questo pezzo. Poi, perché è ancora più insopportabile che venga sbandierato come una conquista sociale il cosiddetto “diritto ad avere un figlio” a ogni costo, che invece non sta scritto in alcun codice etico e legislativo: non è affatto detto che l’intensità di un desiderio sia automaticamente prova che quel desiderio sia legittimo. Infatti, il dolore terribile di non poter avere figli non stabilisce il risarcimento automatico di prendersene uno con il proprio codice genetico.

Ma la cosa più grave e inaccettabile è che venga millantato il fatto che la madre che presta il proprio utero lo faccia in piena libertà. Bene, questo non è vero. Il rapporto tra le due madri è sempre intermediato da agenzie internazionali che lavorano per il committente, cioè per chi paga. Perché qui, care le nostre femministe da strapazzo, c’è qualcuno che paga. E qualcuno che viene pagato. E chi prende i soldi lo fa perché ha bisogno e quindi vende il proprio corpo per saldare un mutuo, un affitto, dei debiti o le scuole dei figli.

Nel suo intervento la Marzano cita proprio un caso del genere: una sua amica ha affittato l’utero per pagare gli studi negli Stati Uniti alle figlie e questo lei la considera una saggia decisione. Vendere il proprio corpo è una saggia decisione. Lo ha scritto davvero.

E poi, la pratica della maternità surrogata è fisicamente molto pesante e pericolosa: il prelievo degli ovuli, le cure ormonali, il tasso molto basso di riuscita e quindi la ripetizione più e più volte dell’intervento, il rischio di aborto spontaneo, l’aborto selettivo nel caso il numero di embrioni attecchiti sia più alto di quello previsto. E se la mamma a cottimo per qualsiasi motivo dovesse cambiare idea, beh, contrattualmente non potrebbe farlo. Che c’è di bello e progressista in tutto questo?

Che ne sappiamo - anzi, lo sappiamo benissimo - di quello che accade a una donna quando sente un altro essere umano - suo figlio! – crescere dentro di sé? Quanto è profondo quel legame? C’è qualcosa di più profondo, di più indicibile nell’esistenza degli uomini del legame tra madre e figlio? Statene certi, non c’è.

E quanto può essere devastante la consapevolezza di perdere il proprio bambino, appena nato, per sempre? Quale trauma psicologico ed emotivo comporta il “furto” di una parte di sé e la certezza che non si saprà mai nulla di quello che gli accadrà nella vita? E l’essere costretta a subire questo sfregio solo perché schiacciata dal bisogno economico? Non dovrebbe intervenire lo Stato e il Welfare e la società e la comunità e la famiglia, invece di costringere una donna a trasformarsi in un forno in vendita al miglior offerente? Ci vuole un Nobel per capirlo? Ci rendiamo conto? Che società è? Cosa siamo diventati?

E tutto questo per che cosa? Per rendere “felici” due adulti egoisti - soprattutto quando sono dello stesso sesso, perché sarebbe il caso di ricordare che gli adulti dello stesso sesso non possono avere figli e se il buon Dio ha voluto così un motivo ci sarà: si può ancora dire o arriva il Gran Giurì dei Tromboni del Pensiero Fluido ad arrestarti? - che non vogliono sporcarsi le mani con un bambino adottato, ma che invece vogliono il loro, con il loro marchio di fabbrica? Che pena. Ci scrivessero un bel saggio, le nostre filosofesse da quattro soldi.

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