Draghi pigliatutto
È il nuovo De Gaulle

Ora che si è arreso anche l’ultimo giapponese che combatteva nella jungla, il professor Massimo Galli, si può dire che la guerra è finita? Forse sì. Ma memori di quanto accaduto l’anno scorso, con il rientro nel tunnel in autunno dopo aver visto la luce in estate, è meglio aspettare prima di sparare le salve di cannone celebrative, pur al netto dei vaccini che questa volta ci sono.

È stata davvero una guerra, non fosse altro che l’ultima parte, quella si spera decisiva, l’hanno combattuta i militari: uno in uniforme, il generale Figliuolo con i suoi plotoni di siringhe, e l’altro in borghese, il generalissimo Mario Draghi, già impegnato in un’altra decisiva campagna, quella del Pnrr o Recovery plan che si dica.

Un soldato della politica, a cui si è affacciato pochi mesi fa, che ha ricevuto la “greca” sul campo. Il suo “rischio calcolato” ¬- la decisione di anticipare alcune riaperture in aprile, quando la pandemia picchiava ancora duro - si è rivelato una strategia vincente. La gloria del presidente del Consiglio si legge nei sondaggi sulla sua popolarità. Partito con un credito rilevante dovuto al suo passato, lo ha perso in buona parte per strada. Vuoi per l’inizio balbettante della somministrazione dei vaccini e per l’economia che sembrava alla canna del gas, oltre ai litigi e ai dispetti dei partiti della sua composita maggioranza.

Cos’ha fatto allora l’ex presidente della Bce? Ha tirato dritto, quasi come un novello De Gaulle. Si è preso da solo quei poteri che il presidente del Consiglio sulla carta, quella costituzionale, non ha, come lamentava uno dei suoi predecessori, Silvio Berlusconi. E ha deciso, da solo o con pochi fidati ministri e funzionari. Ha piazzato ovunque uomini di sua fiducia e lasciato che i leader politici gli arrancassero dietro, fingendo di intestarsi meriti che sono tutti dell’ex uomo di Bankitalia. Gli italiani, che non sono fessi, lo hanno percepito. E stanno premiando lui più dei suoi alleati.

L’unica a tenere il passo di SuperMario è Giorgia Meloni, a cui è stato lasciato l’incommensurabile vantaggio del monopolio all’opposizione, mica cotiche. Sai quanto Salvini, nel suo intimo, starà imprecando per essersi fatto introitare in maggioranza dal “Draghi boy” Giorgetti?

Perché alla fine, anche sulla corsa nel sostenere le riaperture, il partito del “rischio calcolato” incarnato dal generalissimo Draghi ha avuto la meglio su quello salvinano del “subito tutto come prima” e anche sul movimento della prudenza guidato da Galli e dai virologi.

Chiaro che se, come rivelano i sondaggi, il ministro più popolare è il rigorista Speranza, qualcosa non torna dalle parti di qualche segreteria di partito. Sarà mica la dimostrazione che buona parte degli italiani è migliore di tanti che la rappresentano?

L’unica certezza è che anche questa volta il Pd, nonostante l’attivismo del neosegretario Letta, però su altri fronti, è rimasto in mezzo al guado che divide la sponda rigorista da quella aperturista, mentre i Cinque Stelle, se non ci fosse stato il pentimento di Giggino Di Maio sul giustizialismo, si sarebbe dovuti andarli a cercare a “Chi l’ha visto?” da Federica Sciarelli.

Dire che nel mondo dei ciechi (politicamente parlando) anche un orbo è re vorrebbe dire fare un torto a Draghi che invece ci vede benissimo e, con ogni probabilità, guarda lontano. Al Quirinale? Alla guida di un polo che riporti a casa l’elettorato moderato così da diventare determinante per qualunque alleanza politica, soprattutto a una alternativa al centrodestra sovranista che appare destinato a governare nel prossimo futuro? Chi lo sa. L’unica certezza, sondaggi alla mano, è che le carte le tiene tutte lui, il nuovo De Gaulle del terzo millennio. Stai a vedere che, come diceva l’altro, il generale e politico francese, stavolta la ricreazione della politica è davvero finita?

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