Europee: Tarquinio e i superbi del Pd

Di certo non è Superbo come il suo antico omonimo re di Roma, ma certo non si può pretendere che Marco Tarquinio, rinunci al suo essere cattolico per potersi candidare alle elezioni europee senza dividere il Pd (il che peraltro è un po’ come sperare che il sole non sorga). Non fosse altro perché il soggetto in questione è stato direttore di “Avvenire”, quotidiano edito dalla Cei, che sarebbe la Conferenza dei vescovi italiani e non appare probabile che questi si siano scelti un ateo o al limite pure un agnostico per guidare il loro quotidiano.

In quanto al Nazareno (lasciamo perdere la battuta sul “nomen omen”) verrebbe da chiedersi il motivo di tanti birignao nei confronti di Tarquinio. Loro sì che magari sono superbi. Va bene, non è un esponente della nomenclatura, perché nei Dem tra le varie anime si sta facendo strada anche quella dei contrari ai rappresentanti della società civile. E poi, appunto, è cattolico, con quel che ne consegue. Cioè che sulla guerra in Ucraina si picca a pensarla come il Papa e il cardinale Zuppi, presidente della Cei, e quindi vorrebbe la pace, difficile da ottenere se si continuano ad armare i pur valorosi invasi dall’esercito di Putin. Posizione quest’ultima, sostenuta, adesso anche strumentalmente proprio per usarla contro il “neocandidando”, da parte di quegli eredi dei gruppettari del Pci che andavano in piazza con le bandiere arcobaleno e magari avevano urlato “Yankee go home” e ora si ritrovano con l’elmetto sulla zucca intruppati nella Nato. Boh, misteri dalla politica. Magari misteri piuttosto buffi, come diceva Dario Fo che oggi, per molti dei motivi citati sopra, non sarebbe molto popolare dalle parti del Pd.

Il contrasto al Tarquinio in quanto “cattolico” è poi davvero grottesco. Perché i Dem dovrebbero rappresentare la fusione tra due culture, quella della sinistra democratica e del (appunto) cattolicesimo popolare, incarnati ,prima del matrimoni,o da Ds e Margherita. Certo i derivati dei primi sono più numerosi degli altri, ma finché non si ficcheranno in testa che non possono essere egemoni, anche nell’esercitare veti, sarà dura raggiungere quella mission del partito che finora è rimasta la tartaruga al cospetto di Achille nel paradosso di Zenone. Per chi non ha fatto il liceo il piè pur veloce non raggiunge mai il pacioso e lento animale. Più passa il tempo e più sembra avverarsi la profezia che fece sull’allora nuovo partito Emanuele Macaluso, fino all’ultimo testa più che lucida della sinistra riformista, per cui anziché far nascere una nuova cultura politica ne sarebbero morte due. Le polemiche interne su Tarquinio sembrano confermarlo. Del resto che, questa marcia verso le elezioni europee sia una maionese politica impazzita, lo si vede anche dalle parti del centrodestra, dove non cessa la maretta sulle collocazioni degli alleati italiani a Strasburgo e Bruxelles. Il rischio è quello di un ordine sparso che certo non gioverà al potere contrattuale dell’Italia quando si tratterà di dare le carte pesanti, al di là del diritto di tribuna. Il fatto è che da noi, si guarda all’Europa con lo specchietto retrovisore. E il voto dell’8 e 9 giugno è funzionale a regolare gli equilibri interni alle coalizioni di maggioranza e opposizione piuttosto che a spedire in Europa una pattuglia attrezzata per gestire i perigli che attendono il Vecchio continente. Come sono lontani i tempi in cui i partiti candidavano autorevoli europeisti come Altiero Spinelli.

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