I due Beppe e il Pd
in mezzo al guado

«Ehilà Beppe», direbbe il mitico Enrico La Talpa, del fumetto di Lupo Alberto. Ma qui di Beppe ce ne sono due, l’uno contro l’altro armati.

Cinque, sei pagine sui quotidiani, diluvio di notizie, commenti e indiscrezioni dal web, dirette, maratone Mentana e ampio spazio in apertura nei tg. Sembra che in Italia nulla, dal Covid alla questione dei licenziamenti, dai quattrini del Pnrr alla riforma del fisco sia più importante dello psicodramma dei Cinque Stelle, con la lotta all’ultimo sangue (forse) tra il fondatore e garante, Grillo, e Conte, l’aspirante capo, peraltro proprio su designazione del comico prestato alla politica o se preferite del politico prestato alla comicità per la gestione del movimento. Certo, i pentastellati sono ancora il partito più rappresentato in Parlamento anche se da quando Mario Draghi è approdato a Palazzo Chigi nell’azione di governo hanno toccato palla ancora meno degli altri partner di maggioranza, che pure di palloni ne hanno potuti giocare pochissimi. Questo perché il movimento si è trovato invischiato in questa crisi di decrescita segnalata di continuo dai sondaggi. La cosa non sarebbe così fondamentale se non fosse per i rischi che molti paventano per l’esecutivo.

Che, con ogni probabilità, non ci saranno: anche in caso di una scissione, con i “contiani” pronti a costituire nuovi gruppi in Parlamento in concorrenza con quelli storici. Questo perché, lo sanno bene tutti, il governo Draghi non ha alcuna alternativa che non sia quella quasi impossibile, del voto anticipato. Il che avrebbe una serie di conseguenze non certo gradite ai Cinque Stelle. La prima e la più importante quella di perdere le poltrone che per molti dei loro occupanti hanno rappresentato ben più di un terno al lotto. La seconda, legata all’altra, è la consapevolezza che per molti parlamentari pentastellati sarebbe impossibile tornare alla Camera o al Senato. I sondaggi, come detto, danno i voti del M5s pressoché dimezzati rispetto alle elezioni del 2018, e a ciò si aggiunge la riduzione dei componenti delle due assemblee legislative: una battaglia del movimento che ora si è trasformata in un boomerang. Considerato poi che sia da Grillo sia da Conte sono arrivati apprezzamenti e attestazioni di lealtà nei confronti del governo in carica, si può azzardare l’affermazione per cui la querelle non turberà i sonni del premier. Magari quelli di Enrico Letta sì. Perché il leader del Pd si ritroverebbe ad affrontare le elezioni comunali di ottobre, quelle per il Quirinale (anche se qui il discorso è più complesso) e le politiche del 2023 con un alleato mutilato: i grillini o più probabilmente i “contiani”. Perché se il fine ultimo di Beppe (e non Giuseppe) è davvero quello della leadership dei dem, ha tutto l’interesse a destabilizzare quella attuale. E forse il conflitto tra i due Peppini potrebbe anche far riflettere qualcuno, in casa del Nazareno, sull’opportunità di considerare strategica un’alleanza con un soggetto politico che è finora vissuto in prevalenza di fumo, godendosi l’insperata fortuna di ministeri e incarichi vari scaturiti dai “Vaffa day” e dalle altre iniziative di Grillo. Poi, per i Cinque Stelle si è presentato il solito problema di trasformare la protesta in proposta: scoglio che conta innumerevoli vittime. C’è da chiedersi quale sia stato l’intento, nel Pd, di chi pensava o pensa di tenersi simili compagni di strada. Certo al Nazareno i mal di pancia non si contano, e in questi giorni si faranno sentire ancora di più se la divisione pentastellata lascerà il Pd nel solito mezzo del medesimo guado in cui si trova da decenni, ancora prima di chiamarsi così. Forse varrebbe la pena di mollare scrupoli e accorgimenti tattici per cercare di riprendersi i voti catturati dai Cinque Stelle ai tempi d’oro e ripristinare un bipolarismo che, chiunque vinca le elezioni, possa assicurare stabilità e governabilità senza le alchimie innaturali dei due governi guidati da Conte che, forse, proprio per questo curriculum double face, faticherà a trovare ancora spazio. Perché per contare in politica servono i consensi. E quelli del movimento pentastellato li ha portati a casa tutti l’altro Beppe.

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